«L’Italia potrebbe essere condannata per favoreggiamento di crimini di guerra». Questa la dura accusa di Giorgio Beretta, analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni. Beretta collabora con l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia che fa parte della Rete italiana per il disarmo (Rid).
Tre ong sostengono di avere le prove che delle bombe italiane sono responsabili della morte di alcuni civili nello Yemen. Lo European center for constitutional and human rights, la Mwatana organization for human rights, la cui sede è nello Yemen, e la Rete italiana per il disarmo hanno già presentato le prove ed un esposto alla procura di Roma affinché accerti le responsabilità italiane nella morte di due bambini e di una donna in un bombardamento.
Quali conseguenze potrebbero esserci per l’Italia se venisse confermato che tra le armi che vendiamo all’Arabia Saudita ci sono le bombe che vengono sganciate sulla popolazione civile nello Yemen?
Già nel gennaio 2017 esperti dell’Onu hanno accertato che l’Arabia Saudita ha sganciato ordigni di fabbricazione italiana sulla popolazione civile e che questo potrebbe costituire un crimine di guerra. Le conseguenze potrebbero essere pesantissime per l’Italia, che potrebbe rischiare di essere condannata per favoreggiamento di crimini contro l’umanità. Già a suo tempo il governo americano, all’epoca guidato da Barack Obama, decise di non inviare alcuni equipaggiamenti militari ai sauditi perché questi li usavano in maniera indiscriminata. Fu l’ufficio legale del presidente a consigliare ad Obama di vietare la vendita di certi tipi di armi all’Arabia Saudita. I legali ricordarono ad Obama come nel processo a Charles Taylor – ex presidente della Liberia e criminale di guerra condannato – venne condannato anche chi gli fornì le armi, in quanto i venditori erano al corrente dell’uso che ne veniva fatto. Noi per ora abbiamo presentato un esposto alla procura di Roma ma non escludiamo di rivolgerci anche a corti sovranazionali.
Come mai si parla così poco della guerra nello Yemen?
Per due motivi: l’Italia non ha soldati sul territorio yemenita e lo Yemen è molto lontano, quindi i loro profughi non arrivano in Italia. Della guerra in Yemen, non si trova notizia sulle edizioni cartacee dei maggiori quotidiani italiani o nei telegiornali. Una delle poche volte che lo Yemen è finito in prima pagina o in televisione, è stato dopo che il New York Times diede la notizia che bombe italiane venivano sganciate sui civili. Tutto questo è sintomatico del fatto che non c’è interesse ad approfondire l’informazione sul conflitto da parte di certa stampa.
Il governo italiano è trasparente in materia di vendita di sistemi militari?
Come ho detto anche in una audizione in Commissione alla Camera lo scorso ottobre, l’Italia è stato l’unico Paese dell’Unione Europea ad avvalersi della clausola di riservatezza nell’ultima relazione presentata all’Onu sulla compravendita di armi.
L’Italia aderisce al trattato internazionale sul commercio delle armi e quindi ogni anno è chiamata a mandare un rapporto in cui bisogna certificare quali autorizzazioni alla vendita di sistemi militari sono state approvate, le consegne effettive e i Paesi destinatari. L’anno scorso, l’Italia, avvalendosi della clausola di riservatezza, ha omesso di riportare nella relazione annuale a Ginevra per l’Att, i Paesi destinatari delle esportazioni di armamenti. Sono convinto che l’Italia si sia avvalsa di quella clausola per non certificare in un documento ufficiale che l’Italia ha autorizzato la vendita di quasi 20mila bombe aeree del tipo Mk 82, Mk 83 e Mk 84 ai sauditi. Se non l’avesse fatto, quello sarebbe stato il primo documento ufficiale a certificare che l’Italia ha autorizzato la vendita di questi ordigni all’Arabia Saudita, e un documento del genere potrebbe essere utilizzato in sede legale. Penso che il governo Gentiloni e Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) abbiano deciso volutamente di non rendere nota questa informazione. Sfido il ministro plenipotenziario Francesco Azzarello, direttore dell’Uama, a smentirmi su questo.
Lo Stato italiano ha quindi deciso di aggirare il trattato?
Non si tratta di “aggirare il Trattato”. Si tratta di trasparenza e di esporsi al controllo pubblico. Escluso infatti l’ultimo governo Prodi, che in materia era abbastanza trasparente, in generale a tutti i governi degli ultimi dieci anni ha sempre dato fastidio dover fornire informazioni sulle esportazioni di armi. Vogliono continuare a fare affari indisturbati, senza fornire informazioni precise a nessuno. Sono informazioni importanti perchè possono essere usate dal Parlamento e dalla società civile per esercitare la loro funzione di controllo sull’operato del governo. Governo che in questa materia si trova qui in chiaro conflitto di interessi con sé stesso. Perché, da una parte, lo Stato è il maggiore azionista di Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri, le due industrie che più di tutte producono armamenti e il governo ne promuove l’esportazione. D’altra parte dovrebbe assicurarsi, attraverso la Uama, che queste esportazioni non finiscano a Paesi in guerra. Prevale sempre però chiaramente la logica del profitto. Dietro a tutto questo ci sono poi interessi politici, economici ed anche elettorali. Per esempio, quando il governo decide di fornire navi agli Emirati Arabi o al Qatar, mette al lavoro la Fincantieri di Genova, collegio elettorale dove era candidata il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Pinotti evidentemente sperava in un ritorno elettorale che poi non c’è stato ed è infatti stata eletta perchè “ripescata” in un altro collegio.
Che si può fare per limitare la compravendita delle armi?
Basterebbe attuare i trattati che già ci sono e in Italia applicare la legge 185 del 1990. C’è tutta una serie di divieti nella nostra legge e nel trattato internazionale sul commercio delle armi che dovrebbero essere applicati in maniera rigorosa, come quello di non vendere armi a chi si rende colpevole di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.