Naima, Mohamed, Ahmed. Poeti, scrittori, giornalisti in prigione. Spesso le parole, in Somaliland - Paese che si affaccia sul golfo di Aden, non riconosciuto dalla comunità internazionale -, portano in carcere.

La cella della poetessa Naima Abwaan Qorane è stata chiusa a gennaio. Lì rimarrà per tre anni, dice la sentenza del tribunale, per «attività anti-nazionale», per «aver portato la nazione in uno stato di discredito». È stata arrestata quando è tornata da Mogadiscio, capitale della Somalia, dove aveva letto un testo «sull'unità somala». Dopo una guerra civile brutale, il Somaliland è divenuto indipendente dalla Somalia nel 1991, col collasso del regime di Mohamed Siad Barre. Dice il suo avvocato che dal giorno del suo arresto Naima è stata ripetutamente minacciata di stupro ed omicidio, mentre veniva interrogata dalle forze dell'ordine. Il prezzo delle sue rime sono state le sbarre.

Mohamed Kayse Mohamoud invece è stato condannato lo scorso lunedì. Era stato arrestato il 7 febbraio scorso. Mohamed ha 31 anni e per i prossimi 18 mesi della sua vita rimarrà in cella per «aver offeso l'onore del presidente». L'intero capo d'accusa nel processo che è stato imbastito contro l'autore sta tutto in una sola frase, scritta in un post su Facebook, che diceva questo: «Il presidente è un locale». Ha leso l'autorità: «Il presidente è nazionale», ha detto il giudice che lo ha condannato, ricordando che Muse Bihi Abdi è stato eletto l'anno scorso dall'intero Paese.

Nell'ex protettorato britannico dallo scorso dicembre sempre più giornalisti, autori, attivisti pagano le parole con la prigione. Lo scorso gennaio due giornalisti, Ahmed Sa'ed e Abdirahman Mohamed Ege, sono stati arrestati con l'accusa di «propaganda» e «fake news» riguardanti Abdishakur Mahmoud Hassan, il sindaco di Berbera, una città portuale molto povera. Per la loro liberazione si batte il Cpj, Committee to protect journalist. La coordinatrice dell'ong responsabile per l'Africa, Angela Quintal, ha fatto appello al presidente Abdi: «Dovrebbe cogliere l'opportunità per mettere fine a questi tentativi sfacciati di intimidazione contro i giornalisti, fare della libertà di stampa una priorità per la sua amministrazione».

Prima di Ahmed e Abdirahman, una storia simile si è ripetuta il 5 dicembre 2017, quando è finito in manette Abdirisak Dayib Alilil per un articolo scritto per il Gabiley news: accusava il sindaco di Gabiley, Mohamed Omar, di attività criminali. Ma Abdirisak nega di averlo fatto: non lavora per quel giornale dal 2015, ora è direttore di un'altra testata, la Haldoornews. Le accuse cadono, la verità resta, ma le celle delle prigioni in Somaliland rimangono chiuse.

Naima, Mohamed, Ahmed. Poeti, scrittori, giornalisti in prigione. Spesso le parole, in Somaliland – Paese che si affaccia sul golfo di Aden, non riconosciuto dalla comunità internazionale -, portano in carcere.

La cella della poetessa Naima Abwaan Qorane è stata chiusa a gennaio. Lì rimarrà per tre anni, dice la sentenza del tribunale, per «attività anti-nazionale», per «aver portato la nazione in uno stato di discredito». È stata arrestata quando è tornata da Mogadiscio, capitale della Somalia, dove aveva letto un testo «sull’unità somala». Dopo una guerra civile brutale, il Somaliland è divenuto indipendente dalla Somalia nel 1991, col collasso del regime di Mohamed Siad Barre. Dice il suo avvocato che dal giorno del suo arresto Naima è stata ripetutamente minacciata di stupro ed omicidio, mentre veniva interrogata dalle forze dell’ordine. Il prezzo delle sue rime sono state le sbarre.

Mohamed Kayse Mohamoud invece è stato condannato lo scorso lunedì. Era stato arrestato il 7 febbraio scorso. Mohamed ha 31 anni e per i prossimi 18 mesi della sua vita rimarrà in cella per «aver offeso l’onore del presidente». L’intero capo d’accusa nel processo che è stato imbastito contro l’autore sta tutto in una sola frase, scritta in un post su Facebook, che diceva questo: «Il presidente è un locale». Ha leso l’autorità: «Il presidente è nazionale», ha detto il giudice che lo ha condannato, ricordando che Muse Bihi Abdi è stato eletto l’anno scorso dall’intero Paese.

Nell’ex protettorato britannico dallo scorso dicembre sempre più giornalisti, autori, attivisti pagano le parole con la prigione. Lo scorso gennaio due giornalisti, Ahmed Sa’ed e Abdirahman Mohamed Ege, sono stati arrestati con l’accusa di «propaganda» e «fake news» riguardanti Abdishakur Mahmoud Hassan, il sindaco di Berbera, una città portuale molto povera. Per la loro liberazione si batte il Cpj, Committee to protect journalist. La coordinatrice dell’ong responsabile per l’Africa, Angela Quintal, ha fatto appello al presidente Abdi: «Dovrebbe cogliere l’opportunità per mettere fine a questi tentativi sfacciati di intimidazione contro i giornalisti, fare della libertà di stampa una priorità per la sua amministrazione».

Prima di Ahmed e Abdirahman, una storia simile si è ripetuta il 5 dicembre 2017, quando è finito in manette Abdirisak Dayib Alilil per un articolo scritto per il Gabiley news: accusava il sindaco di Gabiley, Mohamed Omar, di attività criminali. Ma Abdirisak nega di averlo fatto: non lavora per quel giornale dal 2015, ora è direttore di un’altra testata, la Haldoornews. Le accuse cadono, la verità resta, ma le celle delle prigioni in Somaliland rimangono chiuse.