L’ultima puntata di questa perdibile saga che sono questi cinquanta giorni di consultazioni sono i patetici tentativi di raccontare simili programmi elettorali che si contraddicono con iperboli oratorie che sono degne dei pacchisti che si incrociano nei parcheggi di qualche autogrill. L’ultimo in ordine di tempo è il capogruppo al Senato del Movimento 5 stelle Danilo Toninelli che in scioltezza ha aperto alla flat tax leghista con una dichiarazione che lascia basiti: «La semplificazione fiscale è anche una nostra priorità. Una flat tax che non svantaggi le fasce più deboli e rispetti il criterio della progressività scolpito nella nostra Costituzione per noi va bene», ha detto Toninelli.
E fa niente che una flat tax che «rispetti la il criterio della progressività scolpito nella nostra Costituzione» valga più o meno come augurarsi un pollo capace di librarsi in volo: l’importante è scovare formule retoriche per rendere potabile tutto ciò che serve per tentare di non innervosire i propri elettori. Così la flat tax che fino a qualche mese fa veniva bollata come «incostituzionale», «che scassa i conti dello Stato», «una bufala» (tanto da meritarsi sul blog di Grillo il nomignolo «flop tax») ora diventa «semplificazione fiscale». Fantastico.
La politica, quando non si è capaci di farla, diventa un esercizio retorico per nascondere sotto le metafore i propri fallimenti. Così ci tocca pure sentire Salvini che apre al reddito di cittadinanza, il M5s apre alla flat tax, i distanti fingono di essere simili per annusarsi e poi reagiscono offesi se il corteggiamento non funziona. E ora, dopo averci detto per settimane quanto si assomigliano di là a destra, proveranno per qualche giorno a simularsi di centrosinistra. Di governo, nemmeno l’ombra.
Buon martedì.