Dall’internazionalismo che va riscoperto, alla lotta in difesa dei palestinesi e contro le fake news. Colloquio a tutto tondo sulla politica col cineasta britannico. Che accusa il renzismo: «Ha puntato a destra, dopo aver sepolto i valori socialisti, e così ha perso»

«Socialismo o barbarie». È lapidario Ken Loach nell’esprimere la sua visione del futuro citando un leggendario slogan di Rosa Luxemburg. «Sembra un aut aut disperato, vero? Penso invece che oggi più che mai, non esista davvero un’altra via», rincara il grande regista britannico che abbiamo incontrato a Belfast, in occasione del premio alla carriera, Il Réalta award conferitogli dalla giuria del Belfast film festival per il suo «eccezionale contributo al cinema a livello mondiale».

L’autore di pellicole indimenticabili come Land and freedom, Carla’s song e I, Daniel Blake, a 82 anni più battagliero che mai, è reduce da giornate di fuoco, soprattutto da quando il Partito laburista israeliano ha deciso di tagliare i ponti con il Labour di Jeremy Corbyn, reo, a suo dire, di essere troppo indulgente e negligente nel punire gli elementi «antisemiti» al suo interno. Un vortice che ha coinvolto anche lo stesso Ken Loach come altri esponenti di spicco della sinistra laburista. Abbiamo parlato di internazionalismo, welfare state, e fake news naturalmente. E abbiamo raccolto il suo messaggio che, forte e chiaro, indica nell’autodeterminazione dei popoli l’unica risposta possibile alla chiusura delle frontiere e all’avanzata del nazionalismo xenofobo.

Cosa la preoccupa di più, in questo momento?
Sono preoccupato da tutto quello che accade a casa nostra come da quello che accade nel resto del mondo. Penso a quello che accade in Siria e alle terribili sofferenze che quelle popolazioni stanno attraversando. Penso allo sciagurato intervento del governo inglese in quei territori. Penso anche che quest’anno è il 70esimo anniversario della cacciata dei palestinesi dalle loro terre da parte degli israeliani e che le sofferenze per quei popoli sembrano eterne. Sono preoccupato da Trump per esempio. E soprattutto sono preoccupato per come sia difficile distinguere tra cosa è falso e cosa è vero.

La guerra che si combatte sul fronte delle “fake notizie” sembra non avere fine.
Certo, penso alle manipolazioni della stampa inglese e alle sue bugie, alle accuse calunniose di antisemitismo che hanno colpito il Labour. Da quando Jeremy Corbyn ha ottenuto la leadership del partito grazie all’appoggio della gente e non grazie ai giochi in Parlamento, gli attacchi si susseguono senza sosta. È il classico gioco delle classi dominanti che quando si sentono minacciate nel loro esercizio del potere, cambiano le regole del gioco, spesso falsificando la realtà grazie al contributo dei media che sono nel loro libro paga, spesso ricoprendosi di ridicolo. Per esempio, se appoggi il popolo palestinese, allora non puoi che essere antisemita.

Su questo fronte, recentemente si è trovato al centro di una polemica. I media l’hanno accusata di essersi scagliato contro un gruppo di parlamentari laburisti che si era mobilitato contro l’antisemitismo, dicendo che bisogna «buttarli a calci fuori dal partito». Come risponde a queste accuse?
Ecco, questo è un esempio di come la stampa stravolge le tue parole, usandole senza alcuna vergogna. Ma non possiamo farci sempre intimidire dalle fake news! In questo caso si tratta del Daily mail che ha riportato una mia frase assolutamente fuori dal contesto. In quell’occasione, un’assemblea del Labour, io non ho parlato di nessuna risoluzione sommaria nei confronti dei parlamentari in questione. Volevo solo dire che chi è eletto non rimarrà al suo posto per tutta la vita, che bisogna stare attenti alla qualità dei candidati, al fatto che siano qualificati e motivati a svolgere il proprio lavoro al servizio della comunità. E che, soprattutto, rispettino i valori in cui crediamo. E chi non risponde a questi requisiti, non può parlare in nostro nome.

In tempi di Brexit, mentre assistiamo all’avanzata del nazionalismo xenofobo, alla chiusura delle frontiere, lei crede ancora nell’attualità dell’internazionalismo e della solidarietà?
L’internazionalismo è da sempre un fondamentale valore della sinistra. Un valore per cui ci siamo battuti in passato e per cui ci batteremo in futuro. L’internazionalismo è valido oggi e lo sarà sempre. Soprattutto oggi, in un mondo globalizzato, i problemi e i bisogni della working class sono simili. In Uk come in Spagna, come in Italia. E anche in Corea. Perché tutti i lavoratori si trovano e si troveranno a fare i conti con il mercato globale, la competitività globale e con lo sfruttamento globale. I movimenti nazionalisti e xenofobi che in questo momento prosperano in Europa come in America e che apparentemente nascono dal basso, affermando di difendere la working class, sono palesemente al servizio della classe dominante, sfruttando il concetto del Paese dominante. Per sconfiggerli, bisogna rimettere in campo il concetto dell’autodeterminazione dei popoli. Bisogna lavorare insieme, costruire legami e obiettivi comuni che vadano oltre i confini nazionali. Anche se al momento sembra impossibile, si può sempre lavorare a un cambiamento possibile del sistema, a un nuovo modello economico. Penso al modello proposto da Varoufakis in Grecia ad esempio. Abbiamo bisogno di una differente visione di Unione europea. Io credo nell’Europa dei popoli, della gente, contro questo club di grassi businessman che è invece l’Ue di Bruxelles.

In I, Daniel Blake, lei ha offerto un’indimenticabile testimonianza di come il sistema socio assistenziale britannico possa annientare la vita delle persone. Come si può uscire da questa trappola?
Possiamo pensare a un unico modello di social welfare che rispetti la dignità delle persone. Per esempio. Il sistema inglese umilia la gente, criminalizzando i loro bisogni attraverso l’esercizio punitivo delle forme di assistenza, creando un clima di incertezza, quasi di paura. Penso si tratti di crudeltà consapevole ai danni di lavoratori e disoccupati, donne e madri soprattutto. Per cui, anche ottenere un alloggio diventa un percorso umiliante, per non parlare del lavoro e anche della stessa sussistenza quotidiana.

Anche in questo caso, i media fanno il loro gioco.
Certo, anche loro svolgono un ruolo non indifferente esercitando ciò che io chiamo «crudeltà consapevole». Penso ai programmi televisivi come Benefit britains per esempio, che offrono un’immagine assolutamente distorta dei disoccupati, delle persone più vulnerabili, presentandoli come scroungers, come parassiti che vivono alle spalle di chi lavora e paga le tasse, addossando loro tutta la colpa del fallimento della social security. Si tratta di un sistema che va radicalmente cambiato. Bisogna potenziare gli investimenti pubblici, per avere la scuola di cui abbiamo bisogno, la sanità di cui abbiamo bisogno, i trasporti di cui abbiamo bisogno. In questo momento è in corso una battaglia politica di enorme portata. Il Labour di Jeremy Corbyn è sotto attacco proprio perché sta rivalutando i valori socialisti più autentici. Di contro, i tempi sono maturi per lavorare a un manifesto comune che indichi la rotta da seguire.

Questa via da seguire, questa lezione, vale anche per l’Italia?
In Italia con il governo Renzi, come del resto in Spagna, si assiste al fallimento della “soft left”, la sinistra che avanza verso destra dopo aver sepolto per sempre i valori socialisti. In Germania la socialdemocrazia ha da tempo fallito i suoi obiettivi riformisti. Chi sostiene che i concetti di destra e sinistra siano superati, che le ideologie siano morte, è in malafede o non si rende conto di cosa sta parlando. Per esempio, l’ideologia delle classi dominanti non è morta. Parlano di libertà, certo. Libertà di mercato, libertà di sfruttamento su scala mondiale. Per questo, anche se le situazioni e i sistemi di organizzazione sociali sembrano differenti, in realtà lo sono solo apparentemente. Per cui la risposta non può che essere unica. Tutto sommato credo che siamo in una fase di grande cambiamento e anche di grande speranza, in fondo. Vorrei avere più tempo per raccontare questa storia. E vorrei essere più giovane per vivere il futuro sviluppo di questo cambiamento.

 

L’intervista di Giulia Caruso a Ken Loach è tratta da Left n. 17 del 27 aprile 2018


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