Una ricerca che rifiuta il barocco e il formalismo in nome dell’armonia tra natura ed essere umano. E un impegno costante nella politica. L’opera di Zevi, in mostra al MAXXI di Roma, può servire per riaccendere il dibattito in Italia

Si è scelto il giorno della Liberazione per inaugurare la mostra in occasione del centenario della nascita di Bruno Zevi. E non è un caso, vista la forza del personaggio che si è speso per tutta la vita tra architettura, politica e ricerca culturale. L’occasione è al MAXXI di Roma con Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell’architettura italiana 1944-2000. Curata da Pippo Ciorra e Jean Louis Cohen e dedicata al grande critico, docente, politico, architetto che attraverso la sua attività teorica di storico e intellettuale ha influenzato almeno due generazioni di appassionati ed addetti ai lavori, la mostra è realizzata in collaborazione con la Fondazione Bruno Zevi. Con materiale proveniente da istituzioni nazionali e da archivi privati, ripercorre gran parte dell’attività dello studioso nell’Italia del dopoguerra attraverso il lavoro di 38 dei “suoi” architetti tra cui Carlo Scarpa, Pier Luigi Nervi, Renzo Piano, Franco Albini, Giovanni Michelucci, Mario Ridolfi, Maurizio Sacripanti, Carlo Mollino e Luigi Pellegrin.

Allestita come un grande studio con tavoli, mensole e librerie, propone disegni, plastici e materiale audiovisivo e sottolinea soprattutto l’importanza della relazione tra politica e architettura, temi a lui molto cari e che hanno segnato tutta la sua vita. Nato a Roma da famiglia italiana di religione ebraica, abbandona il Paese nel 1938 dopo l’emanazione delle leggi razziali da parte del regime fascista. Si reca a Londra e poi negli Stati Uniti dove fa degli incontri importanti. Zevi infatti si laurea in Architettura ad Harvard presso la Graduate school of design diretta in quegli anni da Walter Gropius anch’egli lontano dall’Europa. Inoltre, ha modo di conoscere direttamente Frank Lloyd Wright e la sua opera che segna in maniera indelebile il suo percorso formativo.

In quel periodo, tra l’altro…

 

L’articolo di Matteo Sintini prosegue su Left in edicola


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