Il 3 maggio al voto in 150 municipi. Labour e Conservatori si attestano entrambi attorno al 35 per cento. Ma l'astensione vola: ha votato solo il 36 per cento degli aventi diritto rispetto al 70 per cento delle politiche del 2017

Giovedì 3 maggio si è tenuta un’importante tornata elettorale locale in Inghilterra, con centocinquanta comuni al voto.
La campagna elettorale è stata molto strana, influenzata fortemente da polemiche e scandali più che da proposte politiche. Da un lato il Labour è stato travolto dalle accuse di antisemitismo, del movimento in generale e del suo leader in particolare. Dall’altra il partito Conservatore è stato al centro di feroci polemiche per lo scandalo della “Windrush generation” e le conseguenti dimissioni del Ministro degli Interni, la potentissima Amber Rudd.
Nelle ultime settimane che hanno preceduto il voto, un po’ artatamente, il partito Conservatore aveva poi fatto presagire di aspettarsi un tracollo, in particolare nella città di Londra dove si dava per incerto addirittura il risultato nella storica roccaforte conservatrice della municipalità di Westminster, il centro del centro di Londra.
Dati alla mano questo tracollo non c’è stato. In generale, proiettati su base nazionale, i risultati ci mostrano un panorama politico bloccato simile a quello delle elezioni politiche del 2017: Conservatori e Laburisti ad un sostanziale testa a testa intorno al 35%, con l’Ukip ormai scomparso dalla mappa elettorale e i LibDem lontanissimi da essere un fattore in grado di influenzare gli equilibri.
Ancora una volta la distribuzione del voto evidenzia come i laburisti si confermino il grande partito delle città, con un risultato più che soddisfacente a Londra dove si registra il miglior risultato elettorale dal 1971. I Tories invece rimangono fortissimi nelle campagne e nei piccoli centri, con un elettorato stabile e immune alle polemiche.
Ovviamente in questo momento il tentativo degli spin doctor di destra è quello di far apparire il risultato come una sconfitta per il Labour, colpevole di non aver ottenuto la vittoria che si era prevista. Lettura respinta al mittente dallo stesso Jeremy Corbyn che ha ricordato come il risultato elettorale, in termini di consiglieri eletti, sia stato migliore rispetto perfino alle elezioni locali del 2014, la pietra di paragone per i successi del Labour.
Tutto quanto sopra scritto va però letto anche in luce dell’affluenza: alle elezioni politiche del 2017 fu quasi del 70% mentre ieri ha votato appena il 36% degli aventi diritto. Non è difficile immaginare che buona parte dello straordinario voto giovanile che ha premiato il partito di Corbyn nel 2017 ieri sia rimasto a casa. Un elemento da non sottovalutare a parere di chi scrive.
Ma in definitiva è chiaro che la vicenda della Brexit tiene ancora bloccato il sistema politico: le zone in cui ha vinto il Remain premiano il Labour mentre quelle in cui ha vinto il Leave, anche grazie alla scomparsa dell’Ukip, i Conservatori rimangono intoccabili. L’impressione è dunque che fino a che non si vedrà la fine delle trattative e la conclusione della vicenda iniziata con il referendum del 2016, il sistema rimarrà fortemente polarizzato tra i due principali partiti, senza una chiara prevalenza dell’uno sull’altro.