"Grazie" al ministro Fedeli, ci troviamo di fronte a una situazione surreale. C'è il rischio che il prossimo giugno un docente scelto dal vescovo giudicherà anche studenti di terza media, i cui genitori hanno espressamente chiesto di tenerli alla larga dal suo insegnamento confessionale

Erano i tempi del secondo governo Berlusconi, con ministro dell’Istruzione Letizia Moratti. La legge 186 del 18 luglio 2003 diede il via all’assunzione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica. Un esercito di 13.880 docenti scelti dal vescovo venne così assunto con contratto statale a tempo indeterminato. Uno schiaffo ai precari delle materie obbligatorie, un (ennesimo) schiaffo alla laicità della scuola. Nel 2011 lo Snadir, Sindacato degli insegnanti di religione, rivendicò per i suoi assistiti il diritto di essere nominati presidente di commissione per gli “esami di terza media”, ossia gli esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione. Possibilità forse mai messa in pratica: non c’è la fila per far domanda per un incarico privo di retribuzione aggiuntiva e da svolgere ad anno scolastico concluso. Più allettante, e in alcuni casi percorsa con successo, la strada di diventare preside: nel 2012 una sentenza del Tar Liguria aprì la strada al ruolo dirigenziale degli istituti scolastici anche agli insegnanti di religione, sacerdoti inclusi. Arriviamo all’ultima prodezza del nostro Stato clericale. Finora gli insegnanti col vangelo in mano contribuivano alla valutazione dei loro studenti senza voti numerici, con un generico giudizio. Erano esclusi dalla commissione d’esame. Il D.Lgs. 62/2017 ha scombinato le carte e conferito loro una sedia nella commissione esaminatrice di terza media.

Ci troviamo di fronte a una situazione surreale: il prossimo giugno un docente scelto dal vescovo giudicherà anche studenti i cui genitori hanno espressamente chiesto di tenerli alla larga dal suo insegnamento confessionale? Oppure si aprirà un balletto di insegnanti a seconda degli studenti da esaminare per l’esame di terza media? Dentro l’insegnante di religione, poi dentro quello di “alternativa”, poi fuori entrambi e commissione temporaneamente con un componente in meno se lo studente non ha seguito né l’una né l’altra materia?

L’Uaar ha più volte scritto alle scuole a agli uffici scolastici territoriali per arginare l’increscioso fenomeno della discriminazione infantile legata alla mancata attivazione delle attività didattiche alternative all’insegnamento della religione cattolica. Una piaga segnalata anche dalle organizzazioni che vigilano sul rispetto delle convenzioni internazionali per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che vede il nostro Paese messo sotto accusa in rapporti delle Nazioni Unite. L’ennesima tegola clericale rappresentata dagli insegnanti di religione cattolica nelle commissioni d’esame di terza media ha spinto ora l’Uaar a sottoscrivere un appello, condiviso da diverse realtà laiche, affinché il Miur ritorni sui suoi passi rettificando l’interpretazione del D.Lgs. 62/2017.

Il quadro è preoccupante. Al posto di una scuola pubblica inclusiva, laica e all’avanguardia si sta consolidando il modello scuola-parrocchia, sostenuto sia dal centro destra che dal centro sinistra, con un insegnamento «impartito in conformità della dottrina della Chiesa» che occupa ben due ore settimanali nell’età scolastica più vulnerabile, quella della scuola primaria. I relativi docenti, pagati dallo Stato ma scelti dai vescovi, stanno incrementando la capacità di controllo della vita della scuola della Repubblica. Si deve sventare questo recente colpo di mano sugli esami di terza media, senza abbassare la guardia su altri fronti, come quello dei finanziamenti pubblici alle scuole private paritarie e quello dell’alternanza scuola-lavoro affidata, guarda un po’, anche agli insegnanti di religione cattolica.

L’articolo del responsabile nazionale campagne Uaar, Roberto Grendene, è stato pubblicato su Left n. 17, del 27 aprile 2018


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