Fino a qualche anno fa, prima che i voli internazionali su Mosca iniziassero ad atterrare anche negli altri due aeroporti cittadini di Vnukovo e di Domodedovo, gli stranieri arrivavano all’aeroporto di Sheremetivo dove non esisteva, come adesso, collegamento ferroviario con il centro urbano. Percorrendo in auto la strada che collega Sheremetivo alla città, non si poteva quindi non notare sulla propria destra un monumento riproducente un tratto di trincea che ricorda quanto vicino i tedeschi arrivarono alla capitale. Trentadue chilometri dalla Mosca di allora e diciassette chilometri da quella odierna.
Per questo, ancora oggi, l’anniversario della fine della guerra ha in Russia un significato particolare, fatto di carne e sangue di quei venti e più milioni di sovietici che diedero la vita per fermare la barbarie nazista. Partecipai alla manifestazione del 9 maggio per la prima volta, nell’allora Leningrado, nel 1990. A quei tempi alla testa del corteo c’erano ancora molti veterani con il loro carico di medaglie sul petto. Si trattava in buona parte ancora di una dimostrazione sovietica, fortemente segnata dal ruolo del Pcus e delle sue strutture, anche se la partecipazione popolare era comunque vivace e commossa.
Nell’era Eltsin, il degrado politico, sociale e morale mise un po’ in sordina l’anniversario ma con l’ascesa di Putin e il rinnovato senso di appartenenza nazionale, piano piano le iniziative del 9 maggio sono tornate ad essere partecipate. Poi alcuni giornalisti di Tomsk nel 2011, sulla base della considerazione che ormai per ragioni anagrafiche erano pochissimi i veterani che potessero ancora trasmettere fisicamente quanto successo alle nuove generazioni, proposero ai cittadini di partecipare alla manifestazione con incollate su dei cartelli le foto dei loro cari che avevano partecipato al conflitto. L’iniziativa che prese il nome di Bessmertnaya Polk (Reggimento immortale), ebbe un grandissimo, spontaneo, successo popolare, seppur favorito dalle istituzioni. In quelle migliaia di ritratti portati nelle strade con orgoglio ci sono i mille fili di storie e di famiglie che si incontrano sul palcoscenico della storia e le danno un senso, un significato non transeunte.
Il significato politico in chiave nazionalista dell’iniziativa è anch’esso chiaro, seppur non scontato. Ma il nazionalismo russo, varrà sottolinearlo, ha spesso più i tratti del patriottismo che dello sciovinismo. I russi si unirono in grandissima parte non per difendere un regime ma le proprie case e la propria stessa esistenza. Fu la “Grande guerra patriottica” non solo di chi credeva nell’Urss: i menscevichi esiliati da Lenin si appellarono alla resistenza e i trotskisti rinchiusi nei Gulag chiesero di poter di poter imbracciare il fucile nell’Armata rossa. E, in parte, sostennero l’Urss anche chi era stato per i Bianchi nella guerra civile.
Se questo sentimento di pacificazione nazionale, è vero, viene utilizzato dal putinismo, è anche vero che in parte lo trascende nella dimensione sentimentale di quella spuria “guerra di liberazione (inter)nazionale” che fu la Seconda guerra mondiale per i russi.
Dal 2015 si tiene anche a Mosca la marcia del Bessmertnaya Polk. Nei quartieri le famiglie si organizzano per partecipare, ma lo fanno in modo informale, anche i gruppi di amici. Quest’anno grazie anche a un clima quasi estivo si sono riversati nelle strade un milione di moscoviti e abitanti della provincia. Dalla Piazza Rossa sono poi sciamati per tutto il centro sulle rive della Moscova riempiendo i caffè, scivolando dalla collina dell’Università e Vorobevy Gory fino all’ex Gorky Park in attesa che il cielo fosse illuminato dai tradizionali fuochi d’artificio.
E così mi è venuto da pensare come sarebbe bello che anche da noi il 25 aprile potesse essere così: la giornata del ricordo di quei padri e di quei nonni che si batterono per un mondo migliore.
Buongiorno Mosca,
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