Sorpresa alle elezioni irachene: a vincere le parlamentari è stata l’alleanza Sairoun (“Coloro che marciano”) guidata dal religioso sciita Moqtada al-Sadr che conquista 54 seggi sui 329 totali del Parlamento iracheno. Secondo partito (47 seggi) è la coalizione Fatah (“Conquista”), il raggruppamento delle milizie sciite filo-iraniane guidata da al-Amiri. Molto male il premier uscente al-Abadi che con la lista Nasr (“Vittoria”) manderà in parlamento solo 42 deputati. Peggio di lui ha fatto però il suo predecessore Nouri al-Maliki, considerato da molti in Iraq come il principale responsabile delle divisioni interne e dell’acceso settarismo tra sunniti e sciiti. Nel Kurdistan iracheno, invece, il maggiore partito è il Kdp di Barzani con 25 seggi seguito dal Puk di Talabani (15). Terzo il partito di opposizione Gorran (6) che ha però già denunciato irregolarità. Fortissimo l’astensionismo: solo il 44,5% degli aventi diritto è andato a votare. Una percentuale bassa in qualche modo prevedibile visto che molti iracheni non si sentono affatto rappresentati da un ceto politico corrotto e incapace di risolvere i problemi che attanagliano da anni la popolazione. La prima riflessione su queste elezioni è che a uscire sconfitta dalle urne è stata proprio la leadership post Saddam che ha spaccato il Paese su linee confessionali, alimentando lo scontro tra sciiti, sunniti e curdi. Gli iracheni che sono andati a votare non a caso hanno preferito chi ha offerto (almeno a parole per ora) un’alternativa anti-confessionale (Sadr) o chi è stato in prima linea contro l’autoproclamato Stato Islamico (Is). Proprio su Sadr, tra i principali protagonisti della resistenza sciita all’occupazione Usa, sono ora puntati gli occhi degli osservatori locali e internazionali: negli ultimi anni il religioso sciita si è voluto mostrare leader nazionale rassicurante vicino alle fasce più diseredate della popolazione irachena e, a differenza di al-Maliki e delle milizie sciite, ha mostrato come al-Abadi una certa ostilità anti-iraniana (lo scorso anno è arrivato addirittura a visitare il principe saudita sunnita Mohammed bin Salman). Proprio l’attenzione verso le classi più emarginate della società e il richiamo costante contro ogni forma di settarismo sono stati i due principali motivi che hanno spinto il religioso ad allearsi con gli “atei” marxisti rappresentati dal Partito Comunista iracheno e a formare Sairoun. Secondo altri analisti, tuttavia, è possibile pure che le milizie sciite, arrivate seconde alle elezioni e legate a doppio filo con l’Iran, tentino di allearsi con al-Maliki per formare il nuovo governo. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

Per approfondire: "Non bastano le elezioni a ricucire l'Iraq ferito", a pag. 32 di Left in edicola

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Sorpresa alle elezioni irachene: a vincere le parlamentari è stata l’alleanza Sairoun (“Coloro che marciano”) guidata dal religioso sciita Moqtada al-Sadr che conquista 54 seggi sui 329 totali del Parlamento iracheno. Secondo partito (47 seggi) è la coalizione Fatah (“Conquista”), il raggruppamento delle milizie sciite filo-iraniane guidata da al-Amiri. Molto male il premier uscente al-Abadi che con la lista Nasr (“Vittoria”) manderà in parlamento solo 42 deputati. Peggio di lui ha fatto però il suo predecessore Nouri al-Maliki, considerato da molti in Iraq come il principale responsabile delle divisioni interne e dell’acceso settarismo tra sunniti e sciiti. Nel Kurdistan iracheno, invece, il maggiore partito è il Kdp di Barzani con 25 seggi seguito dal Puk di Talabani (15). Terzo il partito di opposizione Gorran (6) che ha però già denunciato irregolarità.

Fortissimo l’astensionismo: solo il 44,5% degli aventi diritto è andato a votare. Una percentuale bassa in qualche modo prevedibile visto che molti iracheni non si sentono affatto rappresentati da un ceto politico corrotto e incapace di risolvere i problemi che attanagliano da anni la popolazione.

La prima riflessione su queste elezioni è che a uscire sconfitta dalle urne è stata proprio la leadership post Saddam che ha spaccato il Paese su linee confessionali, alimentando lo scontro tra sciiti, sunniti e curdi. Gli iracheni che sono andati a votare non a caso hanno preferito chi ha offerto (almeno a parole per ora) un’alternativa anti-confessionale (Sadr) o chi è stato in prima linea contro l’autoproclamato Stato Islamico (Is). Proprio su Sadr, tra i principali protagonisti della resistenza sciita all’occupazione Usa, sono ora puntati gli occhi degli osservatori locali e internazionali: negli ultimi anni il religioso sciita si è voluto mostrare leader nazionale rassicurante vicino alle fasce più diseredate della popolazione irachena e, a differenza di al-Maliki e delle milizie sciite, ha mostrato come al-Abadi una certa ostilità anti-iraniana (lo scorso anno è arrivato addirittura a visitare il principe saudita sunnita Mohammed bin Salman). Proprio l’attenzione verso le classi più emarginate della società e il richiamo costante contro ogni forma di settarismo sono stati i due principali motivi che hanno spinto il religioso ad allearsi con gli “atei” marxisti rappresentati dal Partito Comunista iracheno e a formare Sairoun.

Secondo altri analisti, tuttavia, è possibile pure che le milizie sciite, arrivate seconde alle elezioni e legate a doppio filo con l’Iran, tentino di allearsi con al-Maliki per formare il nuovo governo.

Per approfondire: “Non bastano le elezioni a ricucire l’Iraq ferito”, a pag. 32 di Left in edicola


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