Dopo aver raggiunto a malapena il quorum, per mesi la coalizione è uscita dai radar. Ora, in vista dell’assemblea nazionale, si riaccende il dibattito sulle prossime mosse. E riemergono le divisioni. Dall’assetto istituzionale, all’Europa. E poi, l’eterno dilemma del rapporto col Pd

Se si fosse votato a luglio, probabilmente, staremmo qui a scrivere della disintegrazione di Leu. Così sembrava proprio ai diretti interessati mentre discutevano, senza trovare una quadra, su quale posizione assumere nell’eventualità di un governo del presidente. Poi la notizia del dialogo Di Maio-Salvini ha permesso di lanciare un’assemblea nazionale per il 26 maggio. Ma qualcuno la vorrebbe costituente e altri aperta il più possibile. La differenza formale implica una diversa visione degli approdi. Leu deve sciogliere il nodo se essere sinistra, il quarto polo, o centrosinistra ossia il campo progressista.

Insomma, il solito nodo del rapporto col Pd – da cui però non giungono segnali – che è appesantito dai dubbi su come posizionarsi di fronte a un governo giallo-verde. Chi è pronto a un’opposizione da sinistra, chi a fare asse col Pd, chi a valutare «senza sconti, ma senza pregiudizi», come Stefano Fassina, deputato in quota Sinistra italiana ma su posizioni “no euro”. E c’è anche lo scoglio del simbolo: potrà essere utilizzato solo con l’unanimità dei promotori.

Dopo aver superato a malapena l’asticella del quorum, per due mesi nessuno aveva più sentito parlare di Liberi e uguali. Sul sito ufficiale, il volto del capo politico, Pietro Grasso, e un comunicato di quaranta giorni fa di solidarietà a Lula. Stefano Di Traglia, ex portavoce di Bersani aggiunge ai dilemmi l’elemento di una leadership troppo associata all’estabilishment e a una fase negativa.

Intanto…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola


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