Ilaria, Guido, Marco, Michela, Giuliana, Raffaella, Daniela, Luisa, giorno dopo giorno, ora dopo ora, aumenta il numero delle adesioni al digiuno a staffetta - iniziato da Paola Deffendi, mamma di Giulio Regeni e dal suo legale Alessandra Ballerini - per chiedere la liberazione immediata di Amal Fathy, moglie di uno dei consulenti egiziani della famiglia Regeni. Amal è una donna che lotta quotidianamente per i diritti umani. L’11 maggio scorso, alle 2:30 del mattino gli agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano l’hanno prelevata dalla sua casa, con suo figlio di 3 anni e suo marito Mohamed Lotfy, il fondatore della Commissione egiziana per i diritti e la libertà (Ecrf), per condurli in una stazione di polizia. Mohamed e il bambino sono stati rilasciati, Amal no. Lei è stata accusata di aver compiuto atti di minaccia alla sicurezza dello Stato in due occasioni, ricevendo pertanto due ordini di detenzione preventiva di 15 giorni ciascuno. La sua colpa? Avrebbe pubblicato un video su Facebook criticando lo Stato per non aver sanzionato adeguatamente il reato di molestie sessuali, ha fatto sapere un altro consulente egiziano della famiglia Regeni, Ahmad Abdallah. «Siamo molto in apprensione per la sorte dei nostri difensori al Cairo, tutti loro stanno pagando un prezzo altissimo in termini di libertà e sicurezza a causa della loro eroica ed irriducibile battaglia legale nel cercare e pretendere al nostro fianco verità per Giulio» si legge in una nota dell’avv. Ballerini. Una verità alla quale si sta cercando di arrivare da oltre due anni. Tuttavia, sottolinea a Left il portavoce italiano di Amnesty International, Riccardo Noury, «la verità su Giulio la conosciamo dal primo giorno, quella che manca è una verità giudiziaria». In centinaia si sono mossi per sostenere Amal, non solo per farle arrivare un supporto morale, ma anche per attirare l’attenzione dello Stato affinché qualcosa cambi. «In Egitto c’è un clima di repressione fortissimo. Una donna che prende la parola, viene vista male. Dopo l’incarcerazione di Amal è nata una campagna offensiva contro di lei» racconta Noury. In un Paese dove la libertà di parola viene negata, dove una donna che lotta per i diritti delle altre donne viene arrestata c’è molto che non va in termini di democrazia. Allora bisogna lottare per Amal e alzare la voce. Bisogna rendere le donne libere. A quel punto possiamo lottare anche per tutti i Giulio d’Egitto.

Ilaria, Guido, Marco, Michela, Giuliana, Raffaella, Daniela, Luisa, giorno dopo giorno, ora dopo ora, aumenta il numero delle adesioni al digiuno a staffetta – iniziato da Paola Deffendi, mamma di Giulio Regeni e dal suo legale Alessandra Ballerini – per chiedere la liberazione immediata di Amal Fathy, moglie di uno dei consulenti egiziani della famiglia Regeni.

Amal è una donna che lotta quotidianamente per i diritti umani. L’11 maggio scorso, alle 2:30 del mattino gli agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano l’hanno prelevata dalla sua casa, con suo figlio di 3 anni e suo marito Mohamed Lotfy, il fondatore della Commissione egiziana per i diritti e la libertà (Ecrf), per condurli in una stazione di polizia.

Mohamed e il bambino sono stati rilasciati, Amal no. Lei è stata accusata di aver compiuto atti di minaccia alla sicurezza dello Stato in due occasioni, ricevendo pertanto due ordini di detenzione preventiva di 15 giorni ciascuno. La sua colpa? Avrebbe pubblicato un video su Facebook criticando lo Stato per non aver sanzionato adeguatamente il reato di molestie sessuali, ha fatto sapere un altro consulente egiziano della famiglia Regeni, Ahmad Abdallah.

«Siamo molto in apprensione per la sorte dei nostri difensori al Cairo, tutti loro stanno pagando un prezzo altissimo in termini di libertà e sicurezza a causa della loro eroica ed irriducibile battaglia legale nel cercare e pretendere al nostro fianco verità per Giulio» si legge in una nota dell’avv. Ballerini. Una verità alla quale si sta cercando di arrivare da oltre due anni. Tuttavia, sottolinea a Left il portavoce italiano di Amnesty International, Riccardo Noury, «la verità su Giulio la conosciamo dal primo giorno, quella che manca è una verità giudiziaria».

In centinaia si sono mossi per sostenere Amal, non solo per farle arrivare un supporto morale, ma anche per attirare l’attenzione dello Stato affinché qualcosa cambi. «In Egitto c’è un clima di repressione fortissimo. Una donna che prende la parola, viene vista male. Dopo l’incarcerazione di Amal è nata una campagna offensiva contro di lei» racconta Noury. In un Paese dove la libertà di parola viene negata, dove una donna che lotta per i diritti delle altre donne viene arrestata c’è molto che non va in termini di democrazia. Allora bisogna lottare per Amal e alzare la voce. Bisogna rendere le donne libere. A quel punto possiamo lottare anche per tutti i Giulio d’Egitto.