Il postino ha smesso di suonare, se non due, massimo tre volte la settimana, per effetto diretto dell’ultima ‘riorganizzazione’ di Poste Italiane. Nel nuovo piano industriale, l’azienda ha deciso di allargare all’intera penisola il vecchio progetto sperimentale di consegna a giorni alterni di lettere, cartoline, quotidiani e periodici, bollette. E se la corrispondenza ‘classica’ ormai si è ridotta, le bollette e le tasse comunali, come quella sui rifiuti, continuano ad arrivare per posta. Anche perché non sono tanti quelli che preferiscono farsi addebitare on-line i costi. Primo risultato: caos nei centri di smistamento, e proteste dei sindaci, degli utenti e delle associazioni, specialmente nei paesi più piccoli e nelle zone più lontane dai capoluoghi. Secondo risultato: venerdì 25 maggio i postini incrociano le braccia per “rispedire al mittente la svendita del servizio, e le ristrutturazioni che aumentano i carichi di lavoro gli infortuni e peggiorano la salute e la sicurezza dei lavoratori”. La giornata di mobilitazione promossa dai Cobas Poste ha raccolto consensi ampi e trasversali. Non c’è postino per te. Se può essere di minima consolazione, la posta non ordinaria, dalle raccomandate ai pacchi, sarà ancora consegnata quotidianamente. Insomma le multe stradali e il milione di cose in vendita sulle piattaforme dell’e-commerce non devono aspettare il loro turno. Quanto al resto, però, il piano industriale di Poste Italiane è chiaro: il servizio tradizionale è poco remunerativo, quindi vanno tagliati i costi. Gli affari sono affari. Il problema è che ad essere tagliato non sarà solo il servizio, ma anche i postini. A riprova, nei cinque anni di applicazione del piano industriale (Deliver 2022), sono previsti 25mila addetti in uscita, a fronte di sole 10mila assunzioni, perlopiù per i settori finanziari e assicurativi. In altre parole 15mila lavoratori in meno, con prepensionamenti e accordi volontari per la mobilità. Insomma dagli attuali 138mila dipendenti, nel 2022 il personale scenderà a quota 123mila. Inoltre 4.500 attuali portalettere saranno riassegnati a un ruolo commerciale, in parole povere diventeranno addetti allo sportello. Il management aziendale pensava che lo scoglio maggiore sarebbero stati i rapporti con le organizzazioni sindacali, e così si è attrezzato per raggiungere un accordo con i sindacati confederali di categoria. Non avevano però fatto i conti né con la combattiva reazione dei sindacati di base - Cobas in testa - e in parallelo con la levata di scudi delle amministrazioni comunali, che si sono mobilitate. Con prese di posizione su giornali e tv locali, basate su una semplice ma efficace considerazione: “La progressiva dematerializzazione delle comunicazioni che l'avvento del digitale porta con sé, non significa che si debba dematerializzare anche il servizio di recapito di ciò che circola in cartaceo”. Non solo, c'è anche chi ha pensato di ricorrere alle carte bollate. Secondo i sindaci, la consegna della posta deve essere considerata un servizio pubblico, e quindi non ne può essere interrotta la continuità. Parola dunque ai giudici amministrativi, che in passato - vedi le sentenze del Consiglio di Stato in materia - non sono mai stato teneri di fronte a riorganizzazioni del genere. Dal canto loro, i postini sono da mesi in fibrillazione. In Toscana la rivoluzione nella consegna era già iniziata, in via sperimentale, nelle province di Arezzo di Prato, con non pochi mugugni delle popolazioni interessate. Ora si sta allargando alle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Livorno e Massa Carrara. “I postini non hanno avuto la possibilità di spiegare il loro punto di vista su una riorganizzazione così importante – spiega Edoardo Todaro dei Cobas Poste – non sono state fatte assemblee né incontri specifici, quindi la nostra contrarietà è sia sul merito della riorganizzazione che sul metodo usato”. Nell'area fiorentina i Cobas hanno organizzato una raccolta firme che per ora ha coinvolto 150 portalettere, per poi arrivare alla giornata di sciopero. “Certo non siamo di fronte a licenziamenti – specifica Todaro – ma questa è la settima riorganizzazione in dieci anni”. Riorganizzazione che si ripercuote sulla vita dei postini: “I portalettere di solito lavoravano al mattino, mentre adesso i turni saranno anche di pomeriggio, per la consegna dei pacchi. Questo significa dover riorganizzare anche la propria vita privata, con badanti e baby sitter, perché alcuni di noi entreranno al lavoro alle 10, altri alle 13, con turni fino alle 20. E ci sarà molto da fare il sabato, per consegnare i pacchi nel fine settimana, come richiesto dai clienti. Per giunta abbiamo già la certezza che, con la riorganizzazione, i contratti a tempo determinato per i postini non saranno riconfermati”.

Il postino ha smesso di suonare, se non due, massimo tre volte la settimana, per effetto diretto dell’ultima ‘riorganizzazione’ di Poste Italiane. Nel nuovo piano industriale, l’azienda ha deciso di allargare all’intera penisola il vecchio progetto sperimentale di consegna a giorni alterni di lettere, cartoline, quotidiani e periodici, bollette. E se la corrispondenza ‘classica’ ormai si è ridotta, le bollette e le tasse comunali, come quella sui rifiuti, continuano ad arrivare per posta. Anche perché non sono tanti quelli che preferiscono farsi addebitare on-line i costi. Primo risultato: caos nei centri di smistamento, e proteste dei sindaci, degli utenti e delle associazioni, specialmente nei paesi più piccoli e nelle zone più lontane dai capoluoghi. Secondo risultato: venerdì 25 maggio i postini incrociano le braccia per “rispedire al mittente la svendita del servizio, e le ristrutturazioni che aumentano i carichi di lavoro gli infortuni e peggiorano la salute e la sicurezza dei lavoratori”. La giornata di mobilitazione promossa dai Cobas Poste ha raccolto consensi ampi e trasversali. Non c’è postino per te.

Se può essere di minima consolazione, la posta non ordinaria, dalle raccomandate ai pacchi, sarà ancora consegnata quotidianamente. Insomma le multe stradali e il milione di cose in vendita sulle piattaforme dell’e-commerce non devono aspettare il loro turno. Quanto al resto, però, il piano industriale di Poste Italiane è chiaro: il servizio tradizionale è poco remunerativo, quindi vanno tagliati i costi. Gli affari sono affari.

Il problema è che ad essere tagliato non sarà solo il servizio, ma anche i postini. A riprova, nei cinque anni di applicazione del piano industriale (Deliver 2022), sono previsti 25mila addetti in uscita, a fronte di sole 10mila assunzioni, perlopiù per i settori finanziari e assicurativi. In altre parole 15mila lavoratori in meno, con prepensionamenti e accordi volontari per la mobilità. Insomma dagli attuali 138mila dipendenti, nel 2022 il personale scenderà a quota 123mila. Inoltre 4.500 attuali portalettere saranno riassegnati a un ruolo commerciale, in parole povere diventeranno addetti allo sportello.

Il management aziendale pensava che lo scoglio maggiore sarebbero stati i rapporti con le organizzazioni sindacali, e così si è attrezzato per raggiungere un accordo con i sindacati confederali di categoria. Non avevano però fatto i conti né con la combattiva reazione dei sindacati di base – Cobas in testa – e in parallelo con la levata di scudi delle amministrazioni comunali, che si sono mobilitate. Con prese di posizione su giornali e tv locali, basate su una semplice ma efficace considerazione: “La progressiva dematerializzazione delle comunicazioni che l’avvento del digitale porta con sé, non significa che si debba dematerializzare anche il servizio di recapito di ciò che circola in cartaceo”.

Non solo, c’è anche chi ha pensato di ricorrere alle carte bollate. Secondo i sindaci, la consegna della posta deve essere considerata un servizio pubblico, e quindi non ne può essere interrotta la continuità. Parola dunque ai giudici amministrativi, che in passato – vedi le sentenze del Consiglio di Stato in materia – non sono mai stato teneri di fronte a riorganizzazioni del genere.

Dal canto loro, i postini sono da mesi in fibrillazione. In Toscana la rivoluzione nella consegna era già iniziata, in via sperimentale, nelle province di Arezzo di Prato, con non pochi mugugni delle popolazioni interessate. Ora si sta allargando alle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Livorno e Massa Carrara. “I postini non hanno avuto la possibilità di spiegare il loro punto di vista su una riorganizzazione così importante – spiega Edoardo Todaro dei Cobas Poste – non sono state fatte assemblee né incontri specifici, quindi la nostra contrarietà è sia sul merito della riorganizzazione che sul metodo usato”. Nell’area fiorentina i Cobas hanno organizzato una raccolta firme che per ora ha coinvolto 150 portalettere, per poi arrivare alla giornata di sciopero. “Certo non siamo di fronte a licenziamenti – specifica Todaro – ma questa è la settima riorganizzazione in dieci anni”. Riorganizzazione che si ripercuote sulla vita dei postini: “I portalettere di solito lavoravano al mattino, mentre adesso i turni saranno anche di pomeriggio, per la consegna dei pacchi. Questo significa dover riorganizzare anche la propria vita privata, con badanti e baby sitter, perché alcuni di noi entreranno al lavoro alle 10, altri alle 13, con turni fino alle 20. E ci sarà molto da fare il sabato, per consegnare i pacchi nel fine settimana, come richiesto dai clienti. Per giunta abbiamo già la certezza che, con la riorganizzazione, i contratti a tempo determinato per i postini non saranno riconfermati”.