Colpi di fucile. Mirato, puntato come un tirassegno solo che qui è ancora più divertente perché a cercare di non farsi ammazzare c’è un uomo vero, in più “negro”. Sacko Soumayla è morto come si muore nelle zone di guerra, con un colpo ficcato dentro alla testa e le gambe che crollano. Sacko era entrato con i due suoi compagni Madiheri Drame, 30 anni, e Madoufoune Fofana, 27 anni, la vittima era entrata all’ex Fornace, una fabbrica abbandonata nella zona di San Calogero, vicino a Gioia Tauro e alcuni bianchi e puri scesi da un Panda hanno cominciato a prenderli a fucilate.
Cercavano lamiere per costruire una baracca da aggiungere alla baraccopoli di San Ferdinando, una zona di pacchia, come direbbe il ministro dell’Interno Matteo Salvini, dove non troppo tempo fa un incendio ha ucciso Becky Moses. Non è solo un omicidio a sfondo razziale, è una tentata strage se non fosse che gli altri due sono riusciti a mettersi al riparo.
Ma la decadenza di un Paese che assomiglia sempre di più all’odore dei conati salviniani sta soprattutto nei commenti all’accaduto: da una parte c’è la politica che tace quasi tutta perché con il governo giallo verde i “negri” possono morire e dall’altra ci sono quelli che giustificano l’accaduto dicendo che quelli stavano rubando.
Se rovistare tra i rifiuti e le macerie diventa un furto allora il degrado è compiuto: siamo nel tempo in cui avere vistosamente bisogno di aiuto, essere pubblicamente disperati e essere oscenamente poveri è insopportabile. Lo chiamano decoro, ordine, sicurezza e pulizia ma ha l’odore dell’intolleranza verso ciò che vorremmo nascondere dalla vista.
Fate così: stamattina gridate “ladro” a qualcuno che cerca di recuperare spizzichi di cibo dalla spazzatura. Guardatelo bene in faccia, come non reagisce. Quella è la fotografia di un’epoca.
Buon lunedì.