Bosnia e Montenegro. Poi Croazia, Serbia, Slovenia. Ma ora anche l'Albania. Balcani uniti contro i rifugiati. Ad est il tango delle reciproche accuse per la nuova crisi migratoria è cominciato. Intanto, in arrivo da Medio Oriente e Nord Africa, - ma anche dall'Asia -, i profughi proseguono lungo le nuove rotte aperte dai trafficanti di uomini, che adesso fanno tappa a Tirana. Nei primi cinque mesi del 2018 i migranti che le autorità albanesi hanno fermato sono stati 2311. Nello stesso periodo, da gennaio a maggio dello scorso anno, erano solo 162. La cifra 2311 è doppia rispetto all'intero 2017, anno in cui hanno raggiunto il Paese solo mille profughi.

L'Oim, Organizzazione mondiale migrazione, ha avvertito il primo giorno di giugno che i numeri dei flussi sono in aumento. Ma mentre i binocoli sono puntati tra le onde del Mediterraneo e al centro del mirino c'è la nave Aquarius, per i migranti una nuova alternativa è quella balcanica, a est. In totale, da inizio gennaio a fine maggio 2018, Bosnia, Montenegro ed Albania hanno registrato più di 6700 nuovi arrivi. Nel 2017 erano solo 2600 in totale.

Il picco in Bosnia si è toccato a fine maggio: con 5mila migranti su tutto il territorio e nessuna struttura adeguata il Paese ha organizzato un vertice sulla migrazione a Sarajevo lo scorso 7 giugno. Hanno partecipato i rappresentati delle autorità di Bosnia, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania, Grecia, Austria e Slovenia per dire “mai più 2015”: la crisi migratoria di 3 anni fa non può essere affrontata di nuovo.

Pochi accordi concreti sono stati raggiunti tra rappresentanti e membri politici. Le autorità bosniache accusano i vicini di “mancanza di onestà”. Il ministro della sicurezza bosniaco Dragan Mektic il 30 maggio ha riferito che c'è un incremento del numero di migranti dall'Iran, da quando la Serbia ha introdotto il regime senza visti per i cittadini di Teheran: “Arrivano legalmente in Serbia, poi illegalmente in Bosnia”, unico attraversamento possibile verso il nord Europa. Per Metkic, adesso, bisogna “diventare parte di Frontex”, rafforzare gli agenti alle frontiere e “rimandare indietro i profughi” dai paesi in cui sono arrivati. Se Sarajevo si scaglia contro Belgrado, Podgorica si arrabbia con Tirana, perché “l'Albania non fa abbastanza” per gestire i flussi di profughi e non compie controlli alle frontiere. La soluzione del Montenegro è una minaccia di 26 chilometri: è la lunghezza della recinzione che si vuole costruire al confine con l'Albania. L'Ungheria di Orban, la prima ad usare il muro di filo spinato in Europa, si è già fatta avanti e si è offerta di donarla a Podgorica.

Bosnia e Montenegro. Poi Croazia, Serbia, Slovenia. Ma ora anche l’Albania. Balcani uniti contro i rifugiati. Ad est il tango delle reciproche accuse per la nuova crisi migratoria è cominciato. Intanto, in arrivo da Medio Oriente e Nord Africa, – ma anche dall’Asia -, i profughi proseguono lungo le nuove rotte aperte dai trafficanti di uomini, che adesso fanno tappa a Tirana. Nei primi cinque mesi del 2018 i migranti che le autorità albanesi hanno fermato sono stati 2311. Nello stesso periodo, da gennaio a maggio dello scorso anno, erano solo 162. La cifra 2311 è doppia rispetto all’intero 2017, anno in cui hanno raggiunto il Paese solo mille profughi.

L’Oim, Organizzazione mondiale migrazione, ha avvertito il primo giorno di giugno che i numeri dei flussi sono in aumento. Ma mentre i binocoli sono puntati tra le onde del Mediterraneo e al centro del mirino c’è la nave Aquarius, per i migranti una nuova alternativa è quella balcanica, a est. In totale, da inizio gennaio a fine maggio 2018, Bosnia, Montenegro ed Albania hanno registrato più di 6700 nuovi arrivi. Nel 2017 erano solo 2600 in totale.

Il picco in Bosnia si è toccato a fine maggio: con 5mila migranti su tutto il territorio e nessuna struttura adeguata il Paese ha organizzato un vertice sulla migrazione a Sarajevo lo scorso 7 giugno. Hanno partecipato i rappresentati delle autorità di Bosnia, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania, Grecia, Austria e Slovenia per dire “mai più 2015”: la crisi migratoria di 3 anni fa non può essere affrontata di nuovo.

Pochi accordi concreti sono stati raggiunti tra rappresentanti e membri politici. Le autorità bosniache accusano i vicini di “mancanza di onestà”. Il ministro della sicurezza bosniaco Dragan Mektic il 30 maggio ha riferito che c’è un incremento del numero di migranti dall’Iran, da quando la Serbia ha introdotto il regime senza visti per i cittadini di Teheran: “Arrivano legalmente in Serbia, poi illegalmente in Bosnia”, unico attraversamento possibile verso il nord Europa. Per Metkic, adesso, bisogna “diventare parte di Frontex”, rafforzare gli agenti alle frontiere e “rimandare indietro i profughi” dai paesi in cui sono arrivati. Se Sarajevo si scaglia contro Belgrado, Podgorica si arrabbia con Tirana, perché “l’Albania non fa abbastanza” per gestire i flussi di profughi e non compie controlli alle frontiere. La soluzione del Montenegro è una minaccia di 26 chilometri: è la lunghezza della recinzione che si vuole costruire al confine con l’Albania. L’Ungheria di Orban, la prima ad usare il muro di filo spinato in Europa, si è già fatta avanti e si è offerta di donarla a Podgorica.