La resa è arrivata. Il “sogno georgiano” è finito. Il premier Giorgi Kvirikashvili lascia la carica. “Se le mie dimissioni saranno utili al Paese, non ci penserò un secondo a presentarle” ha detto il 13 giugno e, qualche ora fa, ha mantenuto la promessa. “Ho sempre giocato di squadra e ora ne valuto l'umore, ho preso la decisione, lascio la mia carica” ha detto ieri in tv. “Tra me e il leader del partito ci sono dei disaccordi, credo che sia il momento che il partito abbia l'opportunità di creare un nuovo gabinetto” ha concluso, affidando la sua voce ai microfoni del primo canale statale.

La disputa che ha portato all'allontanamento di Kvirikashvili dalla scena politica è quella che si è aperta con Bidzina Ivanishvili, uomo più ricco del Paese e fondatore del suo gruppo politico, il “Partito del sogno”. Il punto di arrivo del premier combacia con quello di rottura con il tycoon. Ivanishvili, ex premier del paese, 62 anni, una casa-fortezza di vetro, uno zoo privato con pinguini e zebre, ha una fortuna che sfiora un terzo del Pil dell'intero paese, calcola il New York Times.

Kvirikashvili ha abbandonato la poltrona per lo scontro con l'uomo più potente del paese, ma anche per la pressione compiuta da quello “medio”: Zara Saralidze, “l'uomo comune, senza partito”, - come lui stesso si è definito -, che da settimane “chiede giustizia”. Suo figlio è stato ucciso in una rissa lo scorso dicembre. Chi lo ha accoltellato a morte è a piede libero: i killer sono figli di alti funzionari dell'élite del paese e sono rimasti impuniti. Anche se condanne sono state emesse dal tribunale, i veri responsabili l'hanno fatta franca. Da quando è successo, la voce di Saralidze è diventata quella di Tiblisi, che ha cominciato a protestare contro la corruzione delle autorità. Il procuratore Irakly Shotadze è stato costretto a dimettersi il 31 maggio quando migliaia di persone si sono riunite davanti al suo ufficio nella Capitale per manifestare: “Spero che la giustizia prevalga” ha detto prima di andarsene.

Ritorsioni nei giorni successivi. Le ong si sono rifiutate di partecipare al processo di selezione del candidato che avrebbe dovuto sostituire Shotadze, richiedendo altre dimissioni, quelle del ministro della giustizia, Thea Tsulukiani. La piazza, invece, aveva incominciato a chiedere quelle dell'intero governo.

Accuse di coinvolgimento delle autorità nel caso di omicidio, sciopero dei mezzi pubblici e poi dei minatori, manifestazioni di giovani e studenti, hanno costretto le autorità a cominciare a navigare tra frantumi e macerie, finché Kvirikashvili non ha deciso di fare un passo indietro tra fragilità e paradossi della repubblica. Ora chi crede che un'altra rivoluzione stia per cominciare in Caucaso, si chiede se sarà una replica di quella delle rose del 2003 o se assomiglierà a quella più recente ad Erevan. Dall'Armenia, fino in Georgia.

La resa è arrivata. Il “sogno georgiano” è finito. Il premier Giorgi Kvirikashvili lascia la carica. “Se le mie dimissioni saranno utili al Paese, non ci penserò un secondo a presentarle” ha detto il 13 giugno e, qualche ora fa, ha mantenuto la promessa. “Ho sempre giocato di squadra e ora ne valuto l’umore, ho preso la decisione, lascio la mia carica” ha detto ieri in tv. “Tra me e il leader del partito ci sono dei disaccordi, credo che sia il momento che il partito abbia l’opportunità di creare un nuovo gabinetto” ha concluso, affidando la sua voce ai microfoni del primo canale statale.

La disputa che ha portato all’allontanamento di Kvirikashvili dalla scena politica è quella che si è aperta con Bidzina Ivanishvili, uomo più ricco del Paese e fondatore del suo gruppo politico, il “Partito del sogno”. Il punto di arrivo del premier combacia con quello di rottura con il tycoon. Ivanishvili, ex premier del paese, 62 anni, una casa-fortezza di vetro, uno zoo privato con pinguini e zebre, ha una fortuna che sfiora un terzo del Pil dell’intero paese, calcola il New York Times.

Kvirikashvili ha abbandonato la poltrona per lo scontro con l’uomo più potente del paese, ma anche per la pressione compiuta da quello “medio”: Zara Saralidze, “l’uomo comune, senza partito”, – come lui stesso si è definito -, che da settimane “chiede giustizia”. Suo figlio è stato ucciso in una rissa lo scorso dicembre. Chi lo ha accoltellato a morte è a piede libero: i killer sono figli di alti funzionari dell’élite del paese e sono rimasti impuniti. Anche se condanne sono state emesse dal tribunale, i veri responsabili l’hanno fatta franca. Da quando è successo, la voce di Saralidze è diventata quella di Tiblisi, che ha cominciato a protestare contro la corruzione delle autorità. Il procuratore Irakly Shotadze è stato costretto a dimettersi il 31 maggio quando migliaia di persone si sono riunite davanti al suo ufficio nella Capitale per manifestare: “Spero che la giustizia prevalga” ha detto prima di andarsene.

Ritorsioni nei giorni successivi. Le ong si sono rifiutate di partecipare al processo di selezione del candidato che avrebbe dovuto sostituire Shotadze, richiedendo altre dimissioni, quelle del ministro della giustizia, Thea Tsulukiani. La piazza, invece, aveva incominciato a chiedere quelle dell’intero governo.

Accuse di coinvolgimento delle autorità nel caso di omicidio, sciopero dei mezzi pubblici e poi dei minatori, manifestazioni di giovani e studenti, hanno costretto le autorità a cominciare a navigare tra frantumi e macerie, finché Kvirikashvili non ha deciso di fare un passo indietro tra fragilità e paradossi della repubblica. Ora chi crede che un’altra rivoluzione stia per cominciare in Caucaso, si chiede se sarà una replica di quella delle rose del 2003 o se assomiglierà a quella più recente ad Erevan. Dall’Armenia, fino in Georgia.