Qualche giorno fa Udine si è svegliata con le strade e i luoghi simbolo coperti di salvagente colorati con scritto “Io sto con l’Aquarius”, Ospiti in arrivo Onlus ha subito fatto propria questa iniziativa. «Abbiamo cercato di renderla virale, abbiamo pensato che servisse un simbolo per far capire alle persone con un minimo di umanità che non sono da sole, e che il mondo è pieno di gente che crede ancora nei diritti e nell’uguaglianza» racconta Giovanni del Mese il portavoce dell’associazione.
Ospiti in Arrivo Onlus è un’associazione di volontariato nata per assicurare la prima assistenza dei richiedenti protezione internazionale a Udine. Un gruppo di volontari conosciuto attraverso “il fare quotidiano”. Un gruppo di persone senza dogmi che mette al centro di tutto gli esseri umani, la soddisfazione dei loro bisogni, delle loro esigenze e i loro diritti. Un esempio di società attiva, in quanto si radica sul territorio e continua a raccogliere consensi trasversali tra la popolazione.
Un’associazione che si alimenta dal basso non solo grazie alle campagne di crowdfunding, ma anche con l’operato dei suoi volontari, cittadini – lavoratori, disoccupati e studenti, uomini e donne di ogni ceto sociale e di diverse età. Un idraulico si occupa della comunicazione. Un tecnico del suono degli eventi. Alcune commesse, insegnanti di lettere, studenti e studentesse universitarie insegnano italiano ai richiedenti asilo. E poi ci sono ingegneri informatici, operai, operatrici sanitarie, infermieri tutti con tanta voglia di fare.
Tanti progetti realizzati nel territorio iniziati nel 2014 quando a Udine arrivavano richiedenti asilo direttamente dalla rotta balcanica senza trovare alcuna struttura di prima accoglienza. Progetti che si sono estesi anche in quei luoghi dove le violazioni dei diritti dell’uomo si toccano con mano. Sono andati a vedere cosa accade nella rotta balcanica, Grecia, Macedonia, Serbia. «Migliaia di persone sono bloccate in Serbia. Nonostante il confine serbo-ungherese sia rimasto l’unica via di transito legale, in seguito alle violenze perpetuate dalla polizia ungherese e all’approvazione di leggi liberticide del governo Orban che impongono la detenzione dei richiedenti asilo, compresi i bambini con le loro famiglie, fino alla fine della procedura, da tempo le rotte sono cambiate. In molti si sono spinti sul confine serbo croato, in particolare a Šid, dove le violenze delle polizia croata tuttavia non si sono fatte attendere. Violenze, rinvii e violazioni dei diritti sono all’ordine del giorno. Basti pensare a cosa sta accadendo alla famiglia di Madina, la bambina afgana di 6 anni, morta lungo i binari travolta da un treno nel novembre scorso, dopo essere stata respinta dalla polizia croata durante il corso della notte. Oggi la famiglia si trova in un centro di detenzione a Tovarnik e rischia il rinvio in Bulgaria. Violenze e violazioni che in questi mesi hanno spinto i migranti a tentare la rotta bosniaca. Una rotta pericolosissima, con intere zone ancora minate dalla passata guerra racconta Paola Tracogna operatrice legale di “Ospiti in arrivo”.
«Oggi le rotte si sono modificate a causa della militarizzazione di tutti i confini. La Serbia è il collo di bottiglia della rotta, da cui le persone cercano di raggiungere l’Europa. Lungo i confini serbi, sono centinaia le persone ammassate in accampamenti informali, in condizioni drammatiche, sostenute solo da volontari e Ong. Chi ha i soldi passa con i trafficanti, altrimenti cercano di passare a piedi» prosegue Tracogna. Un’esperienza iniziata nel 2015 quando c’erano tanti richiedenti asilo, nel frattempo sì è modificata la rotta, non il disagio.
«I flussi sono come l’acqua, se cerchi di fermarla, l’acqua gira» racconta Paola. Insomma, i volontari di Ospiti in arrivo si danno da fare ormai da tre anni, sia sul territorio che sulla rotta balcanica. Ricordiamo il progetto culturale “La carovana artistica” che ha unito 15 professionisti del mondo dell’arte e dello spettacolo nell’intento di realizzare delle attività artistico ricreative a favore delle popolazioni accolte nei campi profughi della Grecia per creare dei momenti di evasione che potessero alleggerire il carico emotivo delle persone incontrate lungo il cammino e per favorire l’incontro delle persone, soprattutto dei bambini, con i più vari linguaggi artistico creativi, nella convinzione che in una situazione di forte e drammatico disagio la cura della persona, dei suoi desideri e aspettative di realizzazione personale vadano coltivate per dare speranza e nuove prospettive.
«Alcuni dei partecipanti del progetto li abbiamo incontrati mesi dopo, si ricordavano tutto e con tanta gioia ci dicevano: Io c’ero!» conclude Paola Tracogna emozionata.