La separazione forzata dei bambini migranti dai genitori è stato un atto crudele studiato a tavolino. In vista delle elezioni di midterm, ogni azione di Trump serve a mantenere unita la massa reazionaria composta dalla classe operaia bianca e dai cristiani evangelici tradizionalisti

La quantità di gazzarra mediatica prodotta abitualmente dall’America di Trump è a dir poco destabilizzante. Districarsi tra schiamazzi e fragori risulta essere una fatica di Sisifo – figurarsi riuscire a separare i fatti concreti da quella pura invenzione che deteriora tutto ciò che circonda Donald Trump e la sua corte. Che cosa sappiamo: oltre duemila bambini migranti sono stati separati a forza dai propri genitori. Sappiamo anche che la separazione è causata dallo scontro tra le politiche di tolleranza zero messe in atto dall’amministrazione Trump (per cui ogni attraversamento illegale del confine a sud-ovest deve essere sottoposto ad azione penale) e la giurisprudenza consolidata che non consente la detenzione dei minori per più di venti giorni.

Che cosa si sente dire: che i bambini sono stati strappati dalle braccia delle madri. Che nei campi dove i minori vengono trattenuti, lungo il confine in luoghi come McAllen, in Texas, nella Rio Grande Valley, essi vengono spesso rinchiusi in delle gabbie. Si sentono in giro difensori di questo presidente ridefinire il significato della parola “gabbia”. Si sente dire che i minori non accompagnati vengano dirottati con voli commerciali verso destinazioni lontane come New York o il Maryland. Si sente raccontare di padri e di madri che non trovano i propri figli; e si sente il presidente usare termini come «animali» ed espressioni come «infestazione» per descrivere altri esseri umani e i loro spostamenti. O addirittura, un procuratore generale far riferimento alla Bibbia per giustificare atteggiamenti del genere.

Cosa si vede: vediamo Melania Trump presentarsi sul posto per fare presenza con modi da civettuola Maria Antonietta, indossando la già famigerata giacca con la scritta: I really don’t care, do u? (“A me proprio non importa, e a te?”). Assistiamo all’incapacità di un apparato legislativo di appellarsi alle norme di base che potrebbero sbrogliare l’intera matassa di quel che è rimasto del dibattito formale sulle politiche di immigrazione: una soluzione per i cosiddetti dreamers, il muro di Trump al confine atteso dai suoi più accesi sostenitori, una qualsiasi sorta di codice legale che illustrerebbe la procedura da attuare per le famiglie che arrivano al confine, insomma, qualcosa. E Trump invece ha in qualche modo da solo ceduto, in seguito a un evidente sdegno che brulicava in varie parti del Paese, firmando un decreto anziché una norma congressuale. Si vedono fronti contrapposti delinearsi in colori torbidi nell’opinione pubblica. Un ex governatore nel cuore del Paese ha paragonato la leadership dei democratici a un gruppo di gangster, in un tweet carico di razzismo. Alcuni governatori hanno allontanato i contingenti dal confine, rifiutandosi di prendere parte alle nuove disposizioni federali. A Washington D.C., storica roccaforte di sinistra, i componenti dell’amministrazione Trump vengono contestati fuori dai ristoranti e respinti dai luoghi pubblici.

Ma perché si è arrivati a compiere tali scelte? C’è modo di calmare Trump e il suo bacino elettorale? Tra i fatti, i pettegolezzi, i sospetti e la rabbia montante, giace ciò che ci è consentito conoscere: che pur essendo questi bambini le vittime, non rappresentano gli obiettivi principali, nonostante siano stati deliberatamente scelti. Sono diventati quelli che i nordamericani chiamerebbero collateral damage, i “danni collaterali” in una guerra politica in continua evoluzione. Donald Trump ha…

L’articolo di Joel Weickgenant prosegue su Left in edicola


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