Nei murales di Murad Sabay per le vie di Sana’a e altre città dello Yemen, i volti della popolazione che resiste da anni al conflitto, tra bombardamenti indiscriminati, epidemie di colera, mancanza di cibo e dei servizi più basilari

Fuck war. Così Murad Subay ha intitolato uno dei suoi ultimi murales, dipinto sulla facciata di un palazzo ormai distrutto, nella 60esima strada di Sana’a, la capitale yemenita. Avvezzo al sorriso e alla gentilezza, l’artista quasi si scusa per la crudezza del linguaggio usato: «Purtroppo non ci sono più altre parole per descrivere il punto di vista della popolazione su questo conflitto», racconta. Un grido collettivo, dunque, rappresentato nel murales dalla figura di un uomo con una chitarra in mano, a cui manca un arto, il viso emaciato e gli occhi come due orbite vuote e nere, «a causa degli orrori a cui ha dovuto assistere».

Fa parte della serie, con soggetti simili, che Subay ha dipinto nell’ambito della sua ultima campagna, intitolata “Le facce della guerra”: iniziata a novembre e terminata a metà maggio, racconta l’inferno che la popolazione yemenita sta vivendo sulla propria pelle ormai da anni, tra scontri e bombardamenti indiscriminati, epidemie di colera, mancanza di cibo e dei servizi più basilari. «Non a caso i primi tre murales li ho dipinti nella città portuale di Hodeida – spiega l’artista -, zona particolarmente disastrata in cui vivono migliaia di sfollati organizzati in campi di fortuna, e da cui sono partiti i focolai delle epidemie che stanno devastando il Paese».

Quasi a rappresentare il caos della guerra che non ha forme, per la prima volta Subay abbandona gli stencil per optare su un disegno a mano libera e su uno stile più personale: «In passato utilizzavo gli stencil per il loro linguaggio semplice e universale, volevo che fosse compreso da più persone possibili». Per questo, così come per i messaggi politici e di protesta, in Occidente la figura di Murad Subay è stata spesso accostata a quella di Banksy, lo street artist anonimo conosciuto in tutto il mondo. Con la differenza che Subay non ha mai nascosto la propria identità, anzi: a volto scoperto, in pieno giorno, lui non dipinge quasi mai da solo – anche per questioni di sicurezza – cercando di proposito il coinvolgimento della cittadinanza. Uomini, donne, vecchi e bambini, che spesso si avvicinano per commentare, criticare, incoraggiare, persino unirsi al lavoro.

«Ho iniziato la mia attività di artista di strada nel 2012 quando, con la fine della rivoluzione e l’inizio degli scontri nella mia città, ho capito che le persone stavano ormai perdendo la speranza», racconta. «Volevo coinvolgerli nella mia arte e ho lanciato la campagna intitolata “Colora i muri della tua strada”, in cui artisti e membri della comunità sono usciti per le strade, pennelli e colori in mano, per dipingere ed esprimere istanze e lamentele comuni».

Un evento nato per costruire un ponte tra le persone, sia dentro che fuori dal Paese, tanto che quest’anno…

L’articolo di Anna Toro prosegue su Left in edicola


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