A lungo additato come “terrorista” dalle forze conservatrici, con la fine dell’apartheid Mandela è stato trasformato in un’icona, per rendere innocue le sue istanze. Per questo bisogna riscoprire la sua battaglia. Senza ignorarne i limiti. Come scriveva lui stesso: «La verità è che non siamo ancora liberi»

Alla morte di Nelson Mandela, nel dicembre 2013, ci fu una nota scomoda nelle commemorazioni. I critici di destra avevano spesso tacciato Mandela di filo-comunismo: una delle accuse per le quali venne condannato nel 1964 era proprio «la promozione degli obiettivi del Partito comunista» (il South african communist party, Sacp). Il giorno dopo la sua morte, il Sacp ha ammesso che Mandela era stato membro del suo comitato centrale al momento del suo arresto. Una prima bozza del suo Lungo cammino verso la libertà, in seguito, ha fornito ulteriori prove. Per la destra non disposta ad accettare il nuovo Sudafrica, le evidenze dei suoi (brevi) legami comunisti dimostrerebbero le sue intenzioni “maligne”. Il crollo del blocco orientale, poi, ha causato ulteriori difficoltà a chiunque cercasse di dipingere Mandela come un “nonno benevolo”, in grado di superare le divisioni politiche. Mandela, infatti, era stato costretto a schierarsi. Egli era un prodotto, e uno tra gli ultimi esponenti, delle cause anti-coloniali degli anni 60. E se Mandela non era realmente un “comunista”, il Sacp aveva sicuramente rappresentato uno tra i pochi suoi alleati.

Come ha notato il regista australiano John Pilger, pochi anni dopo la liberazione di Mandela era diventato «impossibile trovare un bianco che avesse sostenuto l’apartheid». La sconfitta del violento Awb (i separatisti bianchi del Movimento di resistenza afrikaner, ndr) distrusse l’ultima resistenza e la minoranza privilegiata fu imbarazzata nell’ammettere la sua acquiescenza rispetto alla tirannia. Eppure, c’era stata molta differenza tra l’atteggiamento degli alleati bianchi attivi nella lotta contro l’apartheid – inclusi quelli del Sacp – e coloro che semplicemente avevano accettato la sua fine, nel momento in cui si era fatta inevitabile.

Lo stesso fenomeno si è consumato anche a livello internazionale. Oltre alle campagne di boicottaggio del regime portate avanti in Occidente, il più importante sostegno alla battaglia di Mandela arrivava dagli altri movimenti anti-coloniali. Nel 1990, durante la sua prima apparizione in Tv negli Stati Uniti dopo il suo rilascio, Mandela fu interrogato dal diplomatico Ken Adelman proprio su questi legami. Secondo l’attivista neocon…

L’articolo di David Broden prosegue di Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA