Siamo nel pieno di un nuovo flusso migratorio grande quanto quelli dell’Ottocento e del dopoguerra. «Altro che cervelli in fuga», dice il sociologo Enrico Pugliese. Pur di sfuggire alla crisi, se ne vanno via giovani in cerca di un lavoro qualsiasi e pensionati

«Quando sono arrivato, nel 2011, di italiani eravamo tre. Da allora ne saranno passati trecento solo nella mia azienda». Dalla provincia abruzzese, Ivan è arrivato fino a Losanna per lavorare da operatore in un call center dove ora si occupa di formazione e controllo qualità. A Losanna ha vissuto a lungo anche Hugo Pratt proprio sul lago che pesca nelle acque del Rodano e dalla Francia conduce ogni giorno migliaia di frontalieri, in battello, nella città svizzera. L’emigrazione è un fiume di storie molto diverse fra loro e storicamente produce onde di piena. Come adesso. «Nel 2008 a Berlino c’erano 20mila italiani ora non si sa, perché i dati dell’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono sottostimati, probabilmente siamo 100-120mila», tratteggia Nicola di Berlin migrant striker (Bms), collettivo di italiani, greci, spagnoli di nuova emigrazione. Iscriversi all’Aire (lo hanno fatto solo 6 su 70 italiani del suo collettivo) vuol dire perdere la copertura sanitaria italiana e non conviene quando si ha a che fare con un mercato del lavoro piramidale come quello tedesco dove in cima ci sono gli autoctoni e in fondo i richiedenti asilo che possono lavorare in deroga ai contratti per un euro l’ora. In mezzo ci sono i migranti europei e poi gli extracomunitari e i rifugiati, «ciascuno status corrisponde a specifiche nicchie del mercato del lavoro – spiega ancora Nicola – e vi si accede dai jobs center, strutture pubblico-private che sfornano working poor, lavoratori poveri».
«Italiani a Berlino vuol dire lavoratori della…

L’articolo di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola


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