"Con parole loro", il libro inchiesta di Frida Nacinovich racconta la coraggiosa lotta di sindacalisti e lavoratori negli anni bui del neo liberismo sposato anche dal Pd. Bisogna tornare a combattere sul piano dei valori, della cultura, degli interessi, dei bisogni, delle aspettative e dell’idea di società dove non perduri lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e l’assenza di relazioni pienamente umane

La pubblicazione di Frida Nacinovich per la casa editrice della Cgil Con parole loro. L’amore per il lavoro nella tempesta del postfordismo, Ediesse è un atto d’amore e di profonda fiducia nei confronti della classe operaia, in tutte le sue molteplici manifestazioni, dal ricercatore all’operaio, dal produttore di birra all’operatore del call center.
È il contributo di una giornalista che ha lavorato con Sandro Curzi impegnandosi nella lunga lotta di resistenza che i lavoratori e le loro organizzazioni sociali stanno conducendo contro l’attacco al lavoro, in particolare dal 2013 ad oggi, ovvero gli anni della gestione politica della crisi del 2008 da parte del capitale e delle sue espressioni politiche, in Italia rappresentate dall’asse Monti-Renzi e più complessivamente dal Pd paladino delle politiche dell’austerità e dell’attacco al sindacato e ai lavoratori e alle lavoratrici.
Gli anni recenti di quella lunga lotta di classe che i padroni stanno vincendo, come ricordava Luciano Gallino.
I lunghi anni della svalorizzazione del lavoro e della sua marginalizzazione nelle sfere della discussione politica, dove la pubblica opinione viene irretita dalle parole d’ordine della destra politica, sociale ed economica con le più trite parole d’ordine del neoliberismo.
Una lotta, tuttavia, che i più di cento membri Rsu ed Rsa intervistati in queste pagine non mostrano affatto di temere, permettendo all’autrice un ardito paragone rispetto alla disparità dei mezzi nella odierna lotta tra capitale e lavoro che rimanda alla battaglia tra spartani e persiani, dove gli arcieri di questi ultimi erano così numerosi che il lancio delle loro frecce poteva oscurare il cielo. Così ci appare oggi il dislivello delle forze in campo. Un po’ della sfrontatezza dello spartano Dienece, per nulla spaventato, potrebbe rincuorarci e spingerci al contrattacco, superando l’elaborazione del lutto e facendo cadere tutte le auto assolutorie giustificazioni per restare nella passività e nell’indolenza.
A fronte del cielo coperto dalle frecce nemiche, così rispose: «Bene. Almeno così combatteremo all’ombra».
Perché tornare a combattere bisogna, sul piano dei valori, della cultura, degli interessi, dei bisogni, delle aspettative e dell’idea di società dove non perduri lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e l’assenza di relazioni pienamente umane: dove l’egoismo e la smodatezza del capitale trovi una radicale critica ed alternativa.
Sfrontati non sono i racconti dei lavoratori e delle lavoratrici che animano le pagine, ma pacati, consapevoli, forti nelle difficoltà e portatori di una conoscenza e di un amore del lavoro come possibile strumento di emancipazione e di costruzione di una identità individuale e collettiva che pensavamo ormai smarrita nel nostro Paese.
Dei veri ed effettivi partigiani della Costituzione e del lavoro come suo imprescindibile fondamento.
Il loro essere espressione diretta dei lavoratori in produzione, in produzione essi stessi, – ed è questo il tratto giornalisticamente e politicamente caratterizzante di questa inchiesta operaia -, li permette e costringe ad affrontare la lotta sindacale con precisa conoscenza del posizionamento dell’azienda nei mercati, l’effettiva redditività, le politiche di decentramento produttivo e segmentazione della catena del valore, le materialissime articolazioni degli orari e dei carichi di lavoro, le catene degli appalti e subappalti, il peso della dimensione finanziaria e fronte di quella direttamente produttiva, il peso delle scelte politiche, nazionali ed europee, nei destini di ogni singolo lavoratore.
Un patrimonio che non va disperso, e che temiamo abbia subito una profonda erosione col voto del 4 marzo, che ha visto gli iscritti della Cgil  votare al 35% Partito democratico, 33% Movimento5Stelle, ben 10% se non di più Lega e solo l’11% Liberi ed uguali e al 4% per Potere al popolo, dove il voto per Leu è concentrato nei gruppi dirigenti e quello a Pap nei lavoratori politicizzati.
E come emerge dalle interviste non è più eludibile il tema della mancanza di rappresentanza politica del lavoro: i delegati intervistati si sono formati in un’altra stagione sociale e politica, dove essa esisteva in varie significative forme e dove non mancava una visione d’insieme dei processi e fenomeni.
Non è più così, da tempo.
Il lavoro senza dimensione politica subisce i processi di atomizzazione neoliberale e di sussunzione postfordista nel totalitarismo aziendalistico.
E’ assolutamente necessario ridare rappresentanza politica al Lavoro, e forse occorrerebbe fare come nell’Inghilterra dell’Ottocento, dove le Trade Unions fondarono il Labour party (e proprio dal laburista di sinistra Corbin utilmente trarre spunto nel rapporto fecondo e imprescindibile tra classe, sindacato e partito).
Magari valorizzando proprio quella straordinaria rete di delegati di posti di lavoro che ancora caratterizza un Sindacato Confederale come la Cgil, che potrebbe decidere – nel Congresso che si accinge a svolgere – di lanciare il cuore oltre l’ostacolo.