Ascoltare, coinvolgere, convincere, includere, decidere insieme ai cittadini diventa in questo clima non solo un dovere, ma l’unica strada per realizzare un cambiamento.

Confesso che ho peccato. Gomorra (il libro) non mi ha mai convinto fino in fondo. L’ho sempre trovato approssimativo, in qualche passaggio addirittura banale. Un giudizio non esaltante che ha condizionato il mio atteggiamento perfino nei confronti dell’omonima serie televisiva, dalla quale mi sono poi tenuto a debita distanza. Fatta questa premessa, che Roberto Saviano abbia però contributo ad attivare una significativa attenzione nazionale sui drammi e sulla devastazione determinata dalla presenza camorristica, credo che nessun sano di mente possa onestamente negarlo. Non si tratta di prendere partito in difesa del giornalista, soprattutto perché l’interessato non ne ha alcun bisogno. È molto combattivo, fin troppo attento, assai presente e si difende di suo. Non di meno, credo che sia necessario chiarire un punto di fondo che la recente polemica del Vincenzo De Luca, presidente della Giunta regionale della Campania, torna a sollevare con lo stile che gli è ormai universalmente riconosciuto. In breve, pur non nominando esplicitamente Saviano, secondo il vertice dell’amministrazione campana «ci sono quelli che vivono di camorra, prendono i diritti sugli sceneggiati tv e si fanno i milioni rovinando giovani generazioni che per emulazione si comportano come quegli imbecilli della fiction» (30 luglio 2018). A parte la virulenta convergenza di toni tra De Luca e Matteo Salvini, colpisce molto che questa avvenga attraverso un classico capovolgimento dialettico, secondo il quale le responsabilità sarebbero di coloro denunciano, perché alzano polveroni disvelando magagne e gettando fango su territori, categorie, apparati. È lo stesso artifizio utilizzato per attenuare le responsabilità dello stupratore, provocato dai costumi eccessivamente liberi di una donna. La vittima diventa allora il carnefice, la minigonna un incitamento alla violenza, chi denuncia atti razzisti un sobillatore di odio, uno sceneggiato l’ufficio di reclutamento criminale, mentre un giornalista viene eretto a produttore e facilitatore di eventi mafiosi.

Sarebbe bene informare De Luca (ma molto ci sarebbe da dire anche all’attuale reggente del Viminale) che la camorra esisteva ben prima del racconto di Saviano, difficile che basti censurare una serie tv per sconfiggerla e bonificare le coscienze. Sarebbero invece necessarie misure concrete, attenzione e sensibilità sociale, buona politica e buona amministrazione. Ecco, lavorerei su questo, piuttosto che sulla ricerca del capro espiatorio. Magari dando una mano a quelle amministrazioni – penso a Casal di Principe, solo per fare un esempio concreto – che combattono in prima linea per provare a rompere con un certo passato, reclamando misure tutt’altro che rivoluzionarie: realizzare scuole, servizi e infrastrutture idriche, magari anche già finanziate, ma impantanate nei meandri di burocrazie e disattenzioni davvero intollerabili. Domandare per credere al sindaco della cittadina, poi ne potremmo anche ridiscutere.

Lo stesso ragionamento vale per il ciclo dei rifiuti e le opposizioni dei comitati locali, altro tema sollevato da De Luca. È indubbio che sia necessario un salto di qualità, anche nella definizione dell’impiantistica. Ma se intere comunità sono recalcitranti e sollevano dubbi è necessario farsi carico del malessere, evitando d’indirizzare loro trancianti e ingenerose considerazioni. Sembra quasi che il decisionista campano si senta scavalcato dalla determinazione di qualche esponente della maggioranza giallo-verde nazionale e voglia dimostrare maggior energia, recuperando quel primato che gli veniva riconosciuto all’epoca della sua sindacatura salernitana. Tuttavia, la sfiducia delle comunità locali nasce dalla cattiva gestione, dai disastri ai quali ha assistito, dagli affari che sono stati condotti sulla pelle di uomini e donne. Ascoltare, coinvolgere, convincere, includere, decidere insieme diventa in questo clima non solo un dovere, ma l’unica strada per realizzare un cambiamento. Possibilmente con qualche cautela in più e l’umiltà che viene dalla consapevolezza di dover svolgere un servizio, con dignità e onore come recita la Costituzione. Un atteggiamento impossibile da assumere senza fare mostra di quotidiano equilibrio e rispetto per gli altri, soprattutto per quelli che la pensano diversamente da te.

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Giovanni Cerchia è coordinatore regionale di Articolo Uno-Mdp della Campania e professore associato di Storia contemporanea all’Università del Molise