Un arresto e due indagati per l’omicidio volontario di Emanuele Scieri, una storia di diciannove anni fa. Quel tipo di violenza in divisa più conosciuta come nonnismo. Aveva il 26enne parà di leva trovato morto il 16 agosto 1999 nella caserma Gamerra a Pisa. Forse è finito il depistaggio messo in atto da allora dalla catena di comando della Folgore, famigerato corpo speciale dell’esercito italiano. Dal comandante al cappellano si sbracciarono tutti a giurare che la caserma era un’«isola felice». Solo gli amici di Scieri, i suoi familiari, e i pochissimi militari ed ex militari legati alla stagione delle lotte per la democratizzazione per le forze armate avrebbero provato a cercare verità e giustizia. Gli amici si sono costituiti prima in comitato permanente, hanno scritto al prefetto di Siracusa, all’arcivescovo, al procuratore della Repubblica. Sono arrivati fino a Pisa, entrati nella Gamerra ed hanno portato la loro voglia di giustizia fino davanti dal comandante della caserma. Oggi, il comitato permanete è diventato l’associazione “Giustizia per Lele”.
Gli arresti domiciliari per Alessandro Panella, che possiede anche il passaporto americano, sono scattati in quanto gli inquirenti temevano il pericolo di fuga visto che aveva già programmato il rientro negli Stati Uniti. Panella aveva già prenotato per domani un volo Roma-Chicago, con successivo volo interno per San Diego, in California, dove l’ex paracadutista laziale, ora ai domiciliari a Cerveteri (Roma), vive e lavora da oltre 10 anni e dove è stato sposato con una cittadina americana. Panella dopo un anno di servizio di leva nella Folgore, aveva lasciato l’esercito, conseguendo poi una laurea in economia negli Stati Uniti. Lavora in California come interprete per una società privata. Tra gli altri due indagati, a piede libero, per la morte di Emanuele Scieri c’è un militare dell’esercito in servizio. L’accusa ipotizzata dalla procura per tutti è di concorso in omicidio volontario. I due indagati sono originari di Roma e di Rimini.
La morte di Emanuele Scieri nella caserma Gamerra di Pisa, causata da un’aggressione avvenuta in un ambiente dominato dal nonnismo, è stata spacciata per suicidio e le vere responsabilità sono state coperte per anni dalla catena di comando della brigata Folgore. Questa la conclusione cui era giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso nella passata legislatura. A quelle audizioni, nell’autunno del 2016, prese parte anche Mario Ciancarella, ufficiale democratico radiato dall’aeronautica militare per il suo attivismo nella controinchiesta su Ustica. Dopo la scoperta del cadavere di Scieri, Ciancarella aveva cercato di contattare i militari della Folgore per trovare testimonianze. Una telefonata anonima gli aveva descritto fedelmente la scena e la dinamica del delitto. «Cercai di farmi interrogare», ricorda con Left. Ma gli sarebbe riuscito solo nel febbraio del 2000 e a luglio dello stesso anno fu perfino arrestato. Otto giorni nel carcere di Pisa cpn l’accusa infamante di sciacallaggio nei confronti della famiglia. Sarebbe stato prosciolto da quell’accusa in ben cinque processi e finalmente ascoltato dalla commissione parlamentare.
«Forse sono stati indagati i responsabili materiali – dice – ma qualcun altro potrebbe aver ordinato quel trattamento a Scieri. Vorrei ricordare che nello Zibaldone c’erano precise minacce ai “cani morti” che si opponevano agli istruttori».
L’omicidio di Scieri fece emergere anche lo spessore inquietante del generale Celentano, autore dello Zibaldone. Il 18 dicembre del ’98 il generale Celentano aveva fatto stampare, su carta intestata del “Comando Brigata Folgore”, un manuale delle torture (bicicletta: alcol spruzzato sui piedi e incendiato; sbrandamento: il militare che dorme viene scaraventato a terra; e così via) e numerosi spunti di riflessione (l’Italia finisce in “Padania”, il resto è “continente nero”, i terroni devono morire; i ministri sono incapaci, i neocomunisti distruggono la gerarchia con l’obiezione di coscienza; e così via).
Lo “Zibaldone” viene spedito da Celentano a tutti i comandi paracadutisti della Toscana, con tanto di numero di protocollo. Non si tratta dunque di un centinaio di fogli clandestini, ma di un documento ufficiale dell’Esercito italiano. In uno Stato democratico, quelle parole dovrebbero bastare e avanzare per la rimozione da ogni carica pubblica dell’autore, indipendentemente dal caso Scieri.
«È da loro (gli istruttori, ndr) che sembra dipendere tutta la vita quotidiana degli allievi paracadutisti. Dagli istruttori dipendono i turni per lo svolgimento dei servizi (cucina, servizi igienici, guardie, piantoni vari ecc.) e le eventuali licenze. Chi si ribella agli istruttori viene tartassato di servizi, rischia di non andare più in “libera uscita” e, soprattutto, rischia di venire isolato. Chi non si affida agli istruttori è considerato un “nulla”, un “mostro”, un “cane morto”, e rischia di rimanere solo. È in questa fase, in questa terra di nessuno in cui unico riferimento sembra essere l’istruttore, che possono emergere rituali nuovi, talvolta molto violenti. La misteriosa uccisione dell’allievo paracadutista Emanuele Scieri – avvenuta nell’estate del 1999 – si è verificata in questa fase dell’addestramento. Si è trattato di un evento che si può ipotizzare sia avvenuto durante un rituale violento e pericoloso imposto da qualche figura autoritaria emergente del gruppo primario. La fase di transizione è una fase che possiamo chiamare di vero e proprio darwinismo militare: solo coloro che più si affidano al controllo e alla protezione degli istruttori riescono ad attraversare incolumi questa fase», si legge su “Costruire guerrieri”, un prezioso saggio di due sociologi, Saitta e Barnao, sulla costruzione di “personalità autoritarie e fascistoidi” nei corpi speciali.
Charlie Barnao è un palermitano finito nella Lamarmora di Siena, sede del 186.mo Reggimento paracadutisti Folgore. Ha raccolto in un diario la cronaca sua naja: l’obiettivo degli ufficiali è creare paracadutisti “massicci e incazzati”, ed a questo scopo lasciano le finestre aperte di notte anche in febbraio, picchiano e aggrediscono le reclute, e predispongono esercitazioni al limite del sadismo, a partire dalla “pompa”, le flessioni con le spalle appesantite dall’attrezzatura da lancio.
Il caso Scieri era solo l’ultimo ed il più grave di una lunga, infinita, serie. Due episodi erano costati il posto al comandante Nardi nell’aprile dell’anno precedente e avevano riproposto l’emergenza Folgore. Nel ’97 il diario di un maresciallo dei granatieri aveva denunciato il coinvolgimento di uomini della Folgore nelle torture di civili somali nel corso della missione “umanitaria” Restore Hope. Le fotografie dei somali incaprettati furono pubblicate durante “Restore Hope” dal settimanale “Epoca”. Una lunga manifestazione aveva percorso le strade di Pisa chiedendo lo scioglimento del reparto da sempre al top nell’immaginario della fascisteria nostrana. Finché il giovane siracusano è precipitato da una torre–asciugatoio della caserma “Gamerra” di Pisa. «Emanuele Scieri viene trovato morto tre giorni dopo la sua scomparsa – disse all’epoca Falco Accame, fondatore dell’”Associazione assistenza vittime arruolate nelle Forze Armate” – o le ronde non sono state fatte o non sono state capaci di individuare il giovane. Il corpo di guardia poi non è stato in grado di dire se Emanuele era uscito oppure no.
Infine dopo il contrappello delle prima sera – posto che sia stato fatto – è stata attivata un’immediata azione notturna di ricerca?». Per capire quello che è successo potrebbe essere utile un altro passo del diario di Barnao: «Giù dalle brande cani morti !”: dal diario di Barnao). Seguono le pulizie personali, la colazione, l’adunata e l’alzabandiera alle otto: “inno nazionale cantato obbligatoriamente a squarciagola, discorso del comandante Celentano inneggiante ai ‘tempi che furono’. E’ il rituale fascista di ogni giorno”. Poi comincia l’addestramento, che dura fino alle quattro del pomeriggio, interrotto da una pausa a metà mattina e da un’altra interruzione per il pranzo. Dalle cinque i soldati sono in libera uscita, con l’obbligo di rientrare entro le 23. Chi vuole può fermarsi in caserma, attrezzata anche per il tempo libero con cinema, palestra, pizzeria. E’ questa la giornata-tipo alla Folgore. “Dalle cinque del pomeriggio fino alle otto della mattina seguente in tutte le caserme della Repubblica è difficile trovare un numero sufficiente di ufficiali e sottufficiali” osserva ancora Accame. «È chiaro, allora, che i nonni esercitano in qualche modo un ruolo di controllo».
«Gli elementi da noi riscontrati dopo aver acquisito quasi seimila pagine di documenti e svolto 45 audizioni – le parole della presidente della Commissione, Sofia Amoddio (Pd) – consentono di escludere categoricamente la tesi del suicidio o di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele scalando la torretta, tesi che nel ’99 la catena di comando della Folgore suggerì alla magistratura. La consulenza cinematica di tecnici specializzati ha accertato che la presenza di una delle sue scarpe ritrovata troppo distante dal cadavere, la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro sono del tutto incompatibili con una caduta dalla scala e mostrano chiaramente che Scieri è stato aggredito prima di salire sulla scaletta». La commissione ha fatto dunque emergere «le falle e le distorsioni di un sistema disciplinare fuori controllo ed ha rintracciato elementi di responsabilità». Elementi che sono stati consegnati lo scorso anno alla procura di Pisa, che ha riaperto le indagini fino agli sviluppi di oggi.
«L’indagine ha consentito di perfezionare la conoscenza relativa al nonnismo: questo dato emerge anche con modalità tali da ritenere che contro Scieri ci sia stata un’aggressione da parte dei ‘nonni’ anche mentre era a terra. Si tratta di ipotesi indiziarie che sono suffragate anche dalle consulenze tecniche allegate alle conclusioni della commissione parlamentare d’indagine», ha detto il procuratore di Pisa.
«La vicenda ha avuto un’accelerazione nella giornata di mercoledì perché una delle tre persone da tempo indagate stava per lasciare il territorio nazionale e sarebbe stato complicato riportarcelo», ha spiegato il procuratore di Pisa Alessandro Crini. «Se non ci fosse stato questo ‘pericolo di fugà – ha aggiunto Crini – forse ci saremmo orientati diversamente trattandosi di un fatto molto vecchio». Il procuratore Crini ha spiegato poi che ci sarebbe stato «il tempo per soccorrere Emanuele e per questo contestiamo l’omicidio volontario. Il giovane è stato lasciato agonizzante a terra – ha sottolineato Crini – Questa dinamica non è una nostra congettura ma ricavata dai vecchi accertamenti messi in relazione con i risultati delle perizie effettuate dalla commissione parlamentare».