Marinete Silva, madre di Marielle Franco, racconta le battaglie politiche in Brasile della consigliera socialista assassinata il 14 marzo. «Combatteva su tanti fronti, dava fastidio a molti, a troppi». Adesso un nuovo progetto, Papo Franco, laboratorio sociale «per mobilitarci ovunque»

City of God, Tropa de elite. Ci sarà un motivo per cui tra i più acclamati film brasiliani degli ultimi anni molti sono quelli che mettono al centro la violenza. Una violenza che è tratto strutturale di un Paese in cui corpi legali e illegali non sono separati da confini chiari e visibili. In cui la criminalità si fa Stato e lo Stato si fa criminalità. Quest’intreccio era al centro delle denunce di Marielle Franco. Consigliera a Rio de Janeiro per il Partito socialismo e libertà (Psol), è stata trucidata il 14 marzo di quest’anno. I proiettili di calibro 9 che l’hanno uccisa facevano parte di una partita destinata alla polizia brasiliana. Eppure le prime parole di Marinete Silva, avvocato di 66 anni e madre di Marielle, non sono su proiettili e violenza. L’abbiamo incontrata, grazie e insieme al Comitato Lula livre, a Roma, dov’è arrivata per rivendicare verità e giustizia per Marielle.

Stupore. È questo che vuole trasmetterci. «Non immaginavo nulla di simile. Sono rimasta assolutamente tramortita dal livello di mobilitazione globale che ha seguito l’omicidio di Marielle. Anche qui, in questi miei primi giorni in Italia, molte donne mi hanno scritto solo per conoscermi, per farmi sentire il loro affetto e la loro vicinanza. Per la mia vicenda personale, ma anche – e soprattutto – per quella politica». Siamo noi, non senza un colpo a cuore, a riportarla a quella notte, a quei giorni…

Sono passati più di quattro mesi dalla notte dall’omicidio di Marielle. La sua morte è stata sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Poi, come troppo spesso accade, è finita quasi nel dimenticatoio. A che punto sono le indagini?
Ancora non abbiamo in mano nulla di concreto, purtroppo. La polizia sta seguendo diverse piste, ma nessuna pare possa esser considerata come risolutiva. Marielle combatteva su così tanti fronti che non è facile identificare chi possa esserci dietro il suo omicidio. La sua lotta dava fastidio a molti, a troppi. Ora la polizia ha disposto una task force di 18 uomini, nei quali ho piena fiducia. Mi dispiace però non essere minimamente coinvolta e informata degli sviluppi delle indagini: la maggior parte delle informazioni le apprendo anche io dai media.

Come ha reagito il mondo politico brasiliano all’assassinio?
Il sostegno delle istituzioni è stato abbastanza discontinuo. Subito dopo la notizia dell’assassinio il governo si è schierato apertamente al fianco di Marielle, in particolare il presidente Michel Temer e il ministro della Difesa Raul Jungmann; questo atteggiamento però non è durato a lungo, visto che non appena il caso è stato messo in secondo piano dai media è venuto meno anche l’appoggio delle forze politiche che sono al governo. La sinistra invece, attraverso il Partito socialismo e libertà, ma anche il Partito dei lavoratori (Pt) e il Partito comunista brasiliano (PCdoB), non ha smesso di rivendicare giustizia per Marielle.

Marielle ha una storia che parla a tanti in Brasile. La violenza è sempre stata centrale. Sia perché vissuta e subita, sia perché combattuta. Fino, appunto, alla morte. Da cosa nasce la sua battaglia?Marielle è nata e cresciuta a Maré, una delle favelas di Rio de Janeiro, tra le più grandi e difficili. A spingerla verso l’attivismo politico è stata l’irruzione nella sua vita della violenza più brutale. Nel 2003, una delle sue più care amiche rimase infatti uccisa da quelle che noi in Brasile chiamiamo balas perdidas: un colpo partito involontariamente durante un conflitto a fuoco tra polizia e bande criminali. Questo episodio, avvenuto proprio vicino la casa del nonno di Marielle, non solo l’ha spinta verso la lotta, ma l’ha guidata per tutta la sua vita di attivista: combattere la violenza in ogni sua forma, lottare per i diritti degli ultimi. Il lavoro decennale nella favela è stato fondamentale per dimostrare a tutte e tutti quale fosse il senso della sua lotta politica: supportare la causa delle donne e lgbtq+, dei neri e di tutte le comunità segregate fisicamente e socialmente nelle favelas.

Nei giorni immediatamente successivi all’omicidio, si è molto parlato di questa lotta di Marielle per la “sua” favela,  per Maré. In cosa si concretizzava questo impegno?
Marielle aveva messo in piedi un centro che svolgeva attività per tutta la comunità: corsi d’inglese, teatro, danza, musica, arte; ma anche spettacoli, un orto comunitario, corsi di indirizzo al lavoro. Ciò che più di tutto ha contributo alla popolarità di quest’esperienza è stato un corso per aiutare i giovani della favela a superare i test d’ingresso per le università pubbliche. In Brasile l’università è gratuita, ma funziona con il sistema del numero chiuso: nella maggior parte dei casi solo chi viene dalle scuole private riesce a superare i test d’ingresso. La creazione di un percorso del genere, oltre ad affrontare un enorme problema di disuguaglianza e classismo della società brasiliana, ha attratto moltissimi giovani, che poi sono rimasti per partecipare alle altre attività, e magari per impegnarsi in prima persona. Tutto questo avviene esclusivamente grazie all’impegno volontario e gratuito di tante persone, che lavorano quotidianamente senza fondi o facilitazioni. Ad esempio le prime lavagne della scuola erano di Marielle, le portò lei stessa dalla sua cucina.

L’omicidio di Marielle ha acceso le luci di tutto il mondo sul Brasile di Temer. Molti erano rimasti ai governi del Pt, alla lotta alla povertà, ai successi macroeconomici. Qual è la situazione oggi in Brasile?
Non viviamo giorni tranquilli. Nel 2016 un golpe “blando” ha portato al potere Michel Temer, vicepresidente del governo Rousseff, deposta in circostanze tutt’altro che limpide. Nel prossimo autunno ci dovrebbero essere le elezioni, ma la situazione di Lula (vedi box, ndr) rende tutto ancora molto incerto: l’ex presidente infatti è ancora in prigione, arrestato per corruzione in pressoché totale assenza di prove a carico. In queste condizioni è difficile dire se e quando si svolgeranno le elezioni. Quello che è certo è che nel frattempo la vita quotidiana si sta facendo sempre più insostenibile: in tutto il Brasile, ma a Rio de Janeiro in particolare, violenze e aggressioni sono all’ordine del giorno, mentre si tagliano indiscriminatamente i fondi per la sanità, l’educazione e lo stato sociale.

«Marielle presente. Ora e sempre» è stato uno slogan che si è diffuso in Brasile, ma anche molto oltre. In che modo questa presenza è palpabile? In cosa la vita e la lotta di Marielle vivono oggi in Brasile, al di là della retorica?
Una settimana fa abbiamo lanciato un nuovo progetto, Papo Franco, un laboratorio di discussioni e attività informali, in cui sia possibile conoscersi ma anche riconoscersi come comunità. Papo in portoghese significa chiacchierata, mentre Franco, come in italiano, si riferisce alla sincerità e al coraggio; non è solo un modo per ricordare Marielle, ma anche per portare avanti la sua battaglia politica e sociale: di questo progetto, tra l’altro, ne parlava lei stessa in un vecchio video. Mobilitarsi a Maré, come in ogni altro angolo del pianeta, è fondamentale: quanto più diffonderemo il messaggio di Marielle, tanto più forte diventerà. Non possiamo fermarci ora. Lo dobbiamo non solo a Marielle, ma alle tante e ai tanti che non hanno mai smesso di crederci e di lottare.

L’intervista a Marinete Silva è tratta da Left n.33 del 17 agosto 2018


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