Dopo lo sgombero del "campo" rom sulla via Tiberina a Roma, il 52% delle famiglie che vi abitava non ha trovato alcuna soluzione. E ora vaga in strada

I video, i post sui social e le dichiarazioni alla stampa rilasciate dall’amministrazione capitolina per giustificare lo sgombero del Camping river evidenziano fatti drammatici dietro la più becera propaganda. «Lo sgombero di Camping river, avvenuto lo scorso 26 luglio, è stato un caso emblematico per mostrare l’utilizzo da parte del Comune di Roma della propaganda mediatica, uno strumento di distrazione di massa, che racconta una verità altra, utile a coprire inefficienze e promesse fatte in campagna elettorale e mai mantenute», commenta Associazione 21 luglio, al termine della conferenza stampa Camping river. Le verità nascoste nelle pieghe della propaganda, tenutasi qualche giorno alla Camera dei deputati per illustrare i retroscena di un’azione di sgombero fallimentare, dispendiosa, profondamente lesiva dei diritti umani e accompagnata da una narrazione mediatica falsata da informazioni e dati lontani dalla verità. Distorta, volta a giustificare le operazioni che hanno preceduto lo sgombero e quelle, successive, che hanno allontanato le famiglie dall’insediamento.

Lo sgombero di Camping river – secondo quanto scritto dal sindaco Virginia Raggi sui social, poco dopo lo sgombero – è stato fatto per la drammatica situazione igienico-sanitaria, che «stava mettendo a rischio la salute degli stessi abitanti». Il primo cittadino però ometteva di precisare che le premesse per arrivare alla condizione in cui versava il campo le ha messe proprio l’amministrazione da lei guidata, con la decisione di distruggere cinquanta moduli abitativi a decorrere dal 21 giugno e di sospendere l’erogazione idrica a far data dal 30 giugno.

A rafforzare l’urgenza della chiusura del campo sulla via Tiberina, la giunta capitolina sciorina una serie di cifre (inesatte) con l’obiettivo di convincere i cittadini che il mantenimento dei campi ha un costo insostenibile: si spenderebbero, ogni anno, venticinque milioni di euro. In realtà, secondo i dati dell’Associazione 21 luglio, nel 2016, si è speso un milione e mezzo di euro che, nel 2017, sono diventati tre milioni e mezzo. Cioè, un decimo della cifra dichiarata ufficialmente dalle istituzioni comunali. Per le quali, per bocca della consulente del Comune Monica Rossi, «il bilancio dello sgombero di Camping River è estremamente positivo».

Oltre alla grave violazione dei diritti umani (tenuta, evidentemente, in poco conto), i numeri dicono il contrario. «A fronte di 359 persone del campo ammesse alle azioni del Piano Rom alla fine solo il 9 per cento è rientrato all’interno di tali azioni (fra rimpatri assistiti e sostegni all’affitto). Il 52 per cento delle famiglie non ha trovato alcuna soluzione e ora vaga in strada, mentre al 30 luglio, risultavano 123 le persone collocate in strutture d’emergenza, dove, come da accordi verbali, resteranno fino al 30 settembre 2018. Per la loro accoglienza – a carattere meramente emergenziale – il Comune di Roma dovrà spendere, fino al 30 settembre 2018, una cifra stimata vicina ai quattrocentomila euro», dice l’Associazione 21 luglio. Questa è la verità.