"La mia storia mette in evidenza come può cambiare la vita grazie alle persone che non sono indifferenti alla vita degli altri”, dice L.L., uno dei ragazzini inclusi nei programmi solidaristici di accoglienza temporanea nelle famiglie italiane

“Quando ero piccolo, i miei genitori veri mi hanno abbandonato e sono rimasto in istituto fino a sette anni. A giugno del 2008, quando avevo sette anni, c’è stata una sorpresa: sono arrivato in Italia, dove una famiglia mi stava aspettando. Appena l’aereo atterrò, subito mi misi a piangere, ero così impaurito che non smettevo di piangere. Dopo che ho conosciuto meglio i miei genitori, mi sono sentito felice perché avevo avuto la sicurezza che la nuova famiglia, papà mamma e sorella italiani, mi volevano molto bene. Ho imparato subito l’italiano perché sono un tipo chiacchierone, mentre a scrivere mi ha insegnato mia madre che è una maestra di scuola primaria. Quando ho visto per la prima volta il mare, sono rimasto molto incantato, perché non lo avevo mai visto…dopo un po’ di giorni siamo andati a Matera e là ho conosciuto R., una bambina quasi coetanea di cui mi ero innamorato. Pure R. era innamorata di me. Adesso che siamo più grandi e siamo molto amici, ci sentiamo spesso. Ogni volta che riparto per la Bielorussia mi sento sempre molto triste e mi incoraggia il pensiero di tornare. La mia speranza è restare per sempre in Italia con la mia famiglia e avere tanti amici e una fidanzata”. Aveva sette anni V. – che ora ne ha diciassette – quando è atterrato in Italia. Partito da Vyscemir, nella provincia di Rechitza, in Bielorussia, V. è uno dei tanti bambini inseriti nei programmi solidaristici di accoglienza temporanea nelle famiglie italiane. Che, finalizzati, in origine, ai minori provenienti dalle aree contaminate, sono diventati, ormai, soggiorni di ‘socializzazione’, tesi a far conoscere ai minori coinvolti una realtà altra rispetto a quella che hanno sempre vissuto. Provenienti, principalmente, dalla Bielorussia, dalla Bosnia Erzegovina e dalla Federazione Russa, i bambini stranieri raggiungono le famiglie italiane, i cui genitori hanno, mediamente, più di cinquant’anni e vivono, soprattutto, nel Nord Ovest del Belpaese, dove viene ospitato un terzo dei minori, che hanno fra gli otto e i dodici anni.
Sebbene, nell’ultimo biennio, si è registrato un calo degli arrivi sia per la crisi economica che ha investito gli italiani sia per un cambiamento culturale e organizzativo della vita delle famiglie, dal 1986 – anno della catastrofe nucleare di Chernobyl – a oggi, sono stati migliaia, oltre cinquecentomila negli ultimi venti anni e quasi ventimila fra il 2016 e il 2017, i bambini stranieri che hanno vissuto l’esperienza dell’accoglienza. Che, a leggere le loro testimonianze raccolte nel dossier Minori stranieri. Il fenomeno dell’accoglienza temporanea in Italia negli anni 2016-2017, redatto dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, per tutti è stata di stimolo per immaginare la loro vita futura. Per alcuni, anche l’opportunità di imparare che il mondo “può essere pieno di bontà e premura, disinteressati”.
“…La mia storia (…) mette in evidenza come può cambiare la vita grazie alle persone che non sono indifferenti alla vita degli altri”, scrive L.L. Sono storie di paure che svaniscono e di coraggio mai sopito. Di gratitudine e di nuove consapevolezze. Di scoperta e di conoscenza. Di nuovi impulsi e di possibilità. Di incontro e di confronto. E di straordinaria normalità. “(dopo aver mangiato un gelato italiano): voglio diventare italiano! Voglio tornare ogni anno”, dice S. di nove anni.
E S. di ventisei, ricorda “un viaggio lungo, eravamo tanti, era notte e mia sorella che va in un’altra città e io che ho sette anni e sono solo. Un signore grande mi sorride e mi parla in una lingua strana, mi porta in una casa dove tre bambini dormono. Ho un po’ paura, anche la signora sorride, mi abbraccia e la mattina sei occhi dicono ‘ciao’ e vanno a vedere i cartoni…ero in Italia!…da un po’ non avevo più famiglia nel mio paese…ma dopo natale sono partito. Ricordo che volevo tornare dalla famiglia italiana, mi aiutava, mi insegnava, dava coraggio, se avevo problemi e gioie era con me. Ricordo i giochi, le litigate con i fratelli italiani, era bello capire cosa dicevano, io insegnavo parole russe e non avevo più paura. Ricordo la scuola di italiano, la montagna, Venezia, Firenze, Roma e il cibo diverso, il pesto, la pizza e lo stadio, perché il calcio è la mia passione. Ricordo come ero contento quando la famiglia veniva a trovarmi, conoscevano il mio paese e i miei amici. Ho studiato come i fratelli italiani anche se era faticoso, ho preso la laurea e la famiglia mi era vicina. Ricordo la felicità al mio matrimonio, tutta la famiglia, gli zii e amici italiani sono venuti. Ho capito che, in tanti anni, anche se lontani siamo stati capaci di essere sempre vicini”.