La Settimana Internazionale della Critica (Sic) , sezione parallela della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, organizzata dal Sindacato nazionale critici cinematografici italiani (Sncci) in collaborazione con la Biennale di Venezia, si svolge quest’anno dal 29 agosto all’8 settembre. Nata nel 1984 per volontà di Lino Micciché, 30 anni di lavoro, competenze e ricerca sul linguaggio delle immagini. Obiettivo: selezionare le opere prime di registi emergenti.
A Giona A. Nazzaro, delegato generale dal 2016, chiediamo che tipo di esperienza sia.
Un’esperienza importante, complessa, perché coincide con una posizione di grande responsabilità; si tratta di individuare le tensioni che affiorano e si muovono nel mondo del cinema, avendo la possibilità di mettersi alla ricerca di nuovi talenti all’altezza di quelli che li hanno preceduti. Non sempre è facile cogliere dove si muova il nuovo. Tuttavia, mi sembra di poter dire, che la Settimana Internazionale della Critica vi sia spesso riuscita. Ancora ci si domanda come sia stato possibile che il Festival di Cannes si sia lasciato scappare Les Garçons Sauvages di Bertrand Mandico, presente nella selezione dello scorso anno, un film che ha alimentato un vivace dibattito in Francia sulla violenza e il mondo adolescenziale, o siano sfuggiti talenti del calibro del regista tunisino Ala Eddine Slim, proveniente dal mondo della videoarte che, con The Last of Us ha vinto il Leone Del Futuro – Premio Venezia Opera Prima e l’Oscar del cinema africano. Nel 1985, Kevin Reynolds presentò Fandango, poi divenuto un cult movie, ma sono molti i registi che nell’ambito della Sic si sono rivelati, mostrando nel tempo un profilo personale, coerente e originale. Da Olivier Assayascon il suo film d’esordio Désordre al regista e sceneggiatore britannico Mike Leigh con High Hopes. Da Peter Mullan con Orphans ecc. E, tra i registi italiani, non mancano voci autorevoli come Carlo Mazzacurati scoperto con Notte italiana, Vincenzo Marra, Roberta Torre…
Gioco di squadra con tutti i membri della Commissione, come vi orientate nelle scelte dei film?
I film, giudicati candidabili, prima delle decisione finale vengono discussi con l’intero comitato di selezione, ma prima dci sono viaggi, visioni, incontri, partecipazioni ai festival, confronti e soprattutto c’è un grande lavoro di ricerca . Senza peccare di presunzione, ma il giorno dopo la chiusura della Mostra di Venezia 2017, io già stavo progettando il lavoro per questa nuova edizione, visionando film, visitando laboratori, prendendo contatti… È necessario avere un’idea ampia di quello che si muove intorno ai film, a chi li realizza e contribuisce a realizzarli. Un lavoro più articolato del semplice vedere i film belli e finiti, perché sottintende la possibilità di capire dove va il cinema e in quale direzione. Il cinema non come semplice riflesso sociologico del mondo, ma come dialettica aperta con il mondo, cercando di comprendere come interagisce la forma del film con il presente, assicurando un’evidenza a ciò che si configura come primato poetico che, per noi, proprio in quanto poetico, è primato politico.
Leggo nella brochure che la rassegna Sic si pone come obiettivo l’esplorazione di un cinema che eviti il noto e il consolatorio, approfondendo il piacere della scoperta, la discontinuità, lo smarrimento, la sensualità, il rischio, l’ignoto… puoi spiegarci meglio il senso di termini così suggestivi?
Sono termini che evocano la proposta di quest’anno e in qualche modo sintetizzano la nostra visione di cinema. Non è vero che il cinema è tutto già visto e finito e non è vero che i Festival non servono a nulla. Servono molto, invece. Perché raccontano di materiali, idee, modalità di linguaggio ed espressione artistica che si stanno progettando e formando. I Festival sono una scommessa sul presente, lavorando sul futuro…
Dai discorsi di Barbera e dalla rinnovata vicinanza di Hollywood a Venezia sembra che la strada per riconquistare il pubblico o un pubblico di “nicchia allargata” sia l’“autorialità” che incontra il genere. Partendo dal presupposto che non c’è una via obbligata e tantomeno unica, tu che cosa ne pensa?
Non esiste più un pubblico del cinema, esistono pubblici diversi e diversificati, che a volte non comunicano tra loro. Sono numerose le specializzazioni dei pubblici e non sempre si tratta di pubblici disponibili al dialogo (ad esempio il pubblico del cinema fantastico non dialoga con il pubblico del cinema sperimentale). Chi ha il privilegio di lavorare in un Festival deve aver modo di dialogare con la complessa gamma dei pubblici esistenti e sollecitarne, quando è possibile, il dialogo. Il segreto è capire come si muovano le immagini e che cosa stiano proponendo le piattaforme in termini di offerta. C’è una diversificazione continua molto interessante e il cinema nei Festival è un grande attore della ridefinizione del cinema tout court odierno date queste premesse. Il problema è come articolare la presenza di diversi soggetti economici forti con la presenza di soggetti economici meno forti, provenienti da realtà meno visibili o non conosciute. Quando sento dire che la Mostra del cinema di Venezia è schiacciata da Hollywood, a parte il fatto che non condivido il giudizio, credo si tratti di una questione vecchia e piuttosto inutile. Il cinema hollywoodiano è un cinema innegabilmente e storicamente importantissimo, con cui tutti siamo cresciuti e ci siamo formati. All’interno di una serie di dinamiche e valutazioni, che non escludono il mercato, la Mostra di Venezia ha il compito di mettere in campo un potere di contrattazione con soggetti forti senza assottigliare la sua attenzione e sensibilità verso soggetti meno forti.
Da critico e delegato generale, di fronte al proliferare di siti e blog di critica cinematografica, nei quali talvolta il gusto personale e la soggettività prevalgono sulla lettura analitica e i codici del linguaggio, può dirci quale sia oggi il ruolo della critica in Italia?
Domanda complessa. La critica in Italia si è diversificata. La diversificazione nell’approccio ha prodotto uno spettro molto ampio di voci critiche. Ovviamente bisogna capire quali sono i luoghi dove si produce il pensiero e si articola la riflessione critica. Quando parlo di luoghi ove si produce il pensiero, parlo di “spazi” in cui o “finestre” attraverso le quali si indagano le trasformazioni e le metamorfosi del cinema; la relazione cinema e immagine in movimento; le possibilità che il cinema (e il mondo, e il corpo) ancora offrono aldilà degli steccati innalzati per invocare identità limitanti. Il problema è sostenere quei luoghi ove si manifesta il pensiero. La critica sui giornali soffre di continui razionamenti e non è corretto pensare che tutti possano scrivere di Spielberg, come non è corretto pensare che tutti possano scrivere di Renzo Piano in relazione all’architettura o di Goffredo Parise in relazione alla letteratura. La conoscenza del cinema è ancora oggi vista con diffidenza…
E forse un pizzico di superficialità…
Sì, forse. Io credo che la selezione di film della Sic possa essere un interessante proposta di allargamento dell’orizzonte di comprensione critica…
E per vedere i film della selezione al di fuori del Festival?
Si tratta di un problema che esula il Festival e riguarda i limiti strutturali di altre realtà presenti in Italia. Il festival non si deve preoccupare del problema della circuitazione. Oggi critica, distribuzione, sala sono realtà molto indebolite. Consideri che in Italia fanno fatica ad uscire i film italiani, ma bisogna ugualmente sfuggire agli assiomi “i Festival non servono a nulla” oppure “ i Festival sono trampolini di lancio per le opere che vi passano”, andrebbe fatto un ragionamento strutturale ed un progetto di ben più ampio respiro per uscire da queste secche. C’è un fatto di vitale importanza: i Festival, e i film che a Venezia le persone avranno l’opportunità di vedere, vengono mostrati, plauditi, criticati, e tanto altro, ma fanno anche qualcosa di più: sono uno snodo del processo creativo ed economico che alimenta la produzione e creano a loro volta opportunità di lavoro all’interno delle produzioni…