Il 6 settembre, nell’ambito delle Giornate degli autori alla mostra internazionale del cinema di Venezia sarà presentato “I villani”, il docufilm che Daniele De Michele aka Donpasta, scrittore, gastronomo e Dj ha scritto con Andrea Segre. Ecco come lui stesso ci ha raccontato questa sua nuova avventura

I Villani sono i miei politici di riferimento, gli unici in cui credo. Per questo ho deciso di farne un film. Sentivo che ormai nessuno, se non loro…e Left, fosse capace di raccontarmi come andasse il mondo, come fronteggiare e riconoscere le bruttezze, come cercare le proprie piccole coerenze, come rielaborare un pensiero di sinistra in fondo.
Per fortuna ho incontrato loro, camminando indefessamente per cinque anni le campagne, i porti, i boschi, negli anfratti più reconditi di un’Italia dimenticata, omessa e negletta: contadini, allevatori, pescatori che sfidando la grande distribuzione, producono rispettando la natura, l’alimentazione dei figli, in modo biologico e talvolta fuori dalle norme sanitarie, per la sola ragione che se devono produrre cibo, devono farlo nel rispetto della terra, del lavoro e della loro libertà.
Il cibo è un prisma perfetto per osservare come vanno le cose nel mondo e le cose vanno male: ingiustizie crescenti, alimentazione malata, produzione industriale e velenosa, schiavizzazione dei raccoglitori migranti, contadini che scompaiono. Ne viene fuori un progresso distruttivo. Poi c’è la semantica del cibo, che fa ancora più male, perché rincoglionisce la gente. Programmi come Masterchef sono contestabili perché raccontano una idea di cucina falsa, fuori dalla storia.
Per anni le riduzioni di scalogno, le julienne erano parole confinate nel loro luogo di competenza: la cucina dei cuochi. Ad un certo punto scoprirono il vaso di Pandora e divennero imperanti.
Il fatto di far credere che la cucina si basi su prodigi tecnici ribaltava la realtà. Uno può divertirsi con una cosa così, ma non può credere ad una informazione falsa. Bene, lo hanno fatto credere.
Perché uno arriva con una stronzata grande quanto una casa e tutti gli credono? Perché non si è resistito abbastanza? Significa che il sistema è talmente marcio che arriva uno con una palata di soldi, fa tanta pubblicità ed è in grado di cambiare i pensieri della gente? Ma se è uno è capace di incidere nel pensiero collettivo con una cosa falsa, significa che le persone non hanno più nulla in testa? Significa che ciò che era rimasto non serviva più a nulla?
Una cosa che mi turbava nei ricettari, nelle tv, nei giornali era che la cucina diventava il luogo dei precetti: ti dico come preparare il tuo piatto, dove comprare bene i tuoi prodotti, come produrre.
Ma dai miei Villani non funziona così, lo dicono chiaro e tondo: tu non mi dici quello che io devo fare, io so quello che devo fare.
La cucina popolare è codificata e tramandata oralmente da gente che apprende attraverso la capacità di osservare, dedurre, trasformare, che tutti gli esseri umani hanno. Non è che arrivi tu, mi dici una minchiata e io ti credo. Queste persone nel fare pesca, agricoltura, cucina in quel modo, che sembra così antico, così fuori dal tempo, hanno uno spirito critico verso la società contemporanea di rara sagacia, ironia e pertinenza.
Faccio un esempio: il pescatore tarantino del film che raccoglie le nasse non può usare boe (rubano tutto altrimenti). Arriva in alto mare, alza lo sguardo, cala un gancio in profondità e recupera la nassa. “Come hai fatto scusa?”. ”Faccio gli allineamenti, non posso sbagliarmi”. Questo funzionamento del pensiero è definibile come sistema cognitivo empirico-deduttivo.
Tutti possono far funzionare il cervello in quel modo. Ma non lo si fa più. Ma la cucina italiana così nacque, per questo è democratica, perché concepita dall’uso della fantasia in una situazione di emergenza. Nata da persone comuni, spesso analfabete, che si mettono assieme e codificano un piatto attraverso una convenzione e un canovaccio che ciascuno poi segue e rielabora, senza allontanarsene troppo. Esistono varianti di parmigiana tante quanti siamo in Italia. La stessa ricetta, ma ognuno a suo modo. Certo, tutto si è interrotto quando la modernità ha pensato di spiegare come si fa un piatto di pasta al sugo scrivendolo su un ricettario, quando ha dato loro i semi delle multinazionali e i fitosanitari per far crescere rapidamente le cose, senza spezzarsi la schiena con la zappa.
Marx l’aveva chiarito bene: se togli la zappa, alieni non un oggetto, ma un saper fare le cose, un saper intravedere, un conoscere. Noi non abbiamo modo di essere come queste persone, abbiamo una storia diversa, e loro sembrano venire da un’era prima di Matrix. Ma come loro, abbiamo l’obbligo di porci in modo critico rispetto a una idea di cibo che è nei fatti distruttiva dell’ambiente, della storia e delle identità.
Non esiste a mio avviso una resistenza sana al capitalismo agroindustriale che non passi dalla storia di queste persone, che con intelligenza hanno costruito un patrimonio millenario di ricette accessibili a chiunque. Non bastano, gli scienziati, gli intellettuali, i cuochi, gli attivisti per resistere. È un pensiero monco della borghesia illuminata pensare di poter bastare a se stessa con le sue buone pratiche, il suo essere dalla parte giusta. È un pensiero elitista, non democratico, razzista.
Serve il sapere universale del popolo in cucina perché loro hanno conservato un elemento di informazione dell’idea di essere umano non scisso ed in rapporto con la natura. Non mi si fraintenda, non dico che bisogna ritornare indietro, al precapitalismo, alla premodernità. L’uomo va sempre avanti.
È nella sua natura trasformare, contaminare, reinventare la propria storia. Ma non si può trasformare una storia che si è cancellata. Perché altrimenti poi arriva uno che ti racconterà una storia falsa e tutti crederanno che sia vera. Che stavo cercando quindi da loro, dai miei Villani?
Che ogni essere umano su terra saprebbe cucinare, rielaborare, trasformare, contaminare, riconoscere, perché dotato di intelligenza (capacità di osservazione delle cose della terra e della vita) e di fantasia (capacità di interpretare a suo modo quelle date informazioni).
Chi sono dunque i miei Villani?
Delle persone comuni che come Antigone scelgono che una legge umana è più importante della legge del re, se questa è ingiusta.
Delle persone comuni che se arriva Faust che gli dice: più comodità e meno sacrifici, ma la passata di pomodoro farà un po’ cacare, loro… lo mandano affanculo.

Il film I villani di Daniele De Michele aka Donpasta sarà presentato lunedì 17 settembre (ore 20) al cinema Farnese di Roma per la rassegna “Venezia a Roma”. Il film, su sceneggiatura di Daniele De Michele e Andrea Segre, è stato presentato alle Giornate degli autori alla mostra del cinema di Venezia e ha ricevuto la menzione speciale Federazione italiana Cineclub-Il giornale del cibo.

L’articolo di Daniele De Michele è stato pubblicato su Left n.35 del 31 agosto 2018


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