Dopo l'Anschluss, la scienziata austriaca riesce a salvarsi in modo rocambolesco in Svezia. Aveva lavorato agli esperimenti sul nucleo di uranio ma si rifiutò di partecipare alla costruzione della bomba atomica. Era il 1938. Lo stesso anno delle leggi razziali in Italia, ricordate oggi 5 settembre a San Rossore

È solo il 9 maggio 1938 che Lise Meitner si rende conto che, anche per lei, tutto è cambiato. Definitivamente. Meno di due mesi prima, il 12 marzo 1938, c’è stata l’Anschluss: la sua Austria è stata annessa da Adolf Hitler. E lei è diventata a tutti gli effetti cittadina tedesca. E, quindi, senza più diritti. Perché lei, anche se di religione cristiana protestante, è ebrea.
Lise è una signora di 60 anni che vive e lavora a Berlino. E da quando Marie Curie è morta, quattro anni prima, è la donna che meglio conosce, in tutto il mondo, la fisica nucleare. Sta appena approntando un esperimento decisivo per capire davvero cosa succede nel nucleo di uranio quando lo bombardi con neutroni lenti.
Ma la storia incombe e non c’è più tempo. I nazisti stanno diventando sempre più feroci ed è ora di lasciare la Germania. «Posso venire?», chiede al nipote Otto Frisch che lavora con il grande fisico e grande amico Niels Bohr a Copenaghen, in Danimarca. Ma certo che puoi, risponde il nipote. Ma, si sa, spesso gli scienziati vivono sulle nuvole. E quei tre non si sono accorti che i paesi liberi e democratici di tutto il mondo stanno elevando barriere insuperabili per gli ebrei che vogliono fuggire dalla Germania. Lise e il nipote camminano, appunto, sulle nuvole. Così lei, spensierata, l’indomani si reca all’ambasciata danese a Berlino e chiede, come ha sempre fatto, un visto per andare a Copenaghen.
Ci dispiace, le dicono, gelandola: il suo vecchio passaporto, quello austriaco, non è più valido. Ma io non ho un altro passaporto. Allora ci dispiace, lei non può ottenere il visto per la Danimarca.
Gelata, esce dall’ambasciata. Poi decide: chiedo un nuovo passaporto, tedesco. In fondo sono una scienziata e devo rispondere a numerosi inviti che mi vengono continuamente dall’estero. Si reca così nella sua città natale, Vienna, dove conosco quel tale funzionario … Niente da fare. Anche a Vienna una doccia gelata: occorre aspettare, vedere, verificare. Sai, tu sei ebrea di nascita e non puoi ottenere il passaporto. Però magari se le autorità, lì a Berlino.
Lise mette in campo tutte le sue conoscenze di grande e riconosciuta scienziata. Ma niente da fare: anche se arriva indirettamente a Wilhelm Frick, il ministro degli Interni del Reich, non ottiene risposta. Intanto i giorni passano. E lei e i suoi amici sono sempre più preoccupati. Presto sarà troppo tardi.
Magari sarà più facile uscire se dimostri di avere un lavoro in un paese straniero. Chiediamo a Bohr. Risposta: mi dispiace, cara Lise, ma la Danimarca non può offrirti nessuna posizione E senza un lavoro anche se esci dalla Germania sarai respinta alla frontiera. È quanto potrebbe accadere anche alla frontiera Svizzera. Troppo pericoloso. E con l’Olanda? I suoi colleghi olandesi interpellano le autorità. Ci dispiace, senza un posto di lavoro non accettiamo nessuno, neppure gli ebrei che hanno bisogno di lasciare la Germania. Alcuni amici olandesi cercano di racimolare 20.000 fiorini per darle una posizione di almeno cinque anni in un qualche centro privato. Niente da fare: ne raccolgono appena 4.000.
Infine anche Wilhelm Frick, il ministro degli Interni nazista, risponde alle sollecitazioni degli amici tedeschi di Lise. La signora è ebrea e non può avere il passaporto. Tanto più che il Reich ha varato una norma specifica, che vieta agli scienziati “non ariani” di lasciare il Paese.
Lise è intrappola. Non c’è via d’uscita. Il suo caso sta per passare nelle competenze di Heinrich Himmler, il capo delle SS.
Finalmente la buona notizia. Manne Siegbahn le offre una posizione in Svezia, presso l’istituto che sta creando a Stoccolma. Poi, l’11 luglio, finalmente la seconda e decisiva buona notizia: le autorità olandesi chiuderanno un occhio e non la rimanderanno indietro alla frontiera, se lei in Olanda metterà piede solo per un transito veloce verso la Svezia.
Bene, nel muro dei paesi liberi e democratici si è aperta una breccia. Ma ora si tratta di attraversare la frontiera. Come impedire che la polizia tedesca la controlli alla dogana? La soluzione è, per così dire, all’italiana. Lei tenterà di attraversare la frontiera in un luogo poco frequentato. E i doganieri olandesi parleranno con i colleghi tedeschi, con cui hanno familiarità, perché quel giorno non ci siano controlli.
Il rischio è altissimo. Ma è l’unica opzione possibile. Il 13 luglio Lise parte con un amico olandese da Berlino e, dopo sette ore in treno, con il cuore a mille raggiunge la frontiera. Il treno rallenta. Si ferma. I tedeschi non controllano. Si riparte. È in Olanda. La migrante clandestina Lise Meitner ce l’ha fatta.
È stata fortunata.
Molti altri ebrei, in quei mesi, in quei giorni, non ce la fanno. Nei Paesi liberi e democratici sanno bene i pericoli che corrono. Si organizza persino una conferenza internazionale per discutere che fare con gli ebrei in fuga dalla Germania. In tutto, gli ebrei in Germania, sono mezzo milione. Il mondo è grande e potrebbe certo accoglierli.
La conferenza internazionale per assumere una decisione si chiude a Evian-les-Bains, in Francia, il 15 luglio: due giorni dopo la fortunata fuga di Lise. I cuori sono duri. E la decisione è raggelante. Nessun Paese, tranne la Repubblica domenicana e la Bolivia, è disposto a rivedere i propri limiti sulle politiche di immigrazione. Chi non rientra nelle regole – pericolo o non pericolo – è rispedito indietro. In Germania.
Non sono solo proclami. Succede alle frontiere di molti Paesi. Non solo europei. Pochi mesi la fortunata fuga di Lise, il 13 maggio 1939, salpa da Amburgo un transatlantico, il St. Louis che ha a bordo 937 profughi, quasi tutti ebrei, e un comandante eroico, un tedesco, Gustav Schröder, che li vuole salvare. La nave attraversa l’Atlantico e arriva a Cuba. Respinti. Solo in 22 riescono a scendere.
Si fa rotta verso gli Stati Uniti. Respinti.
Si fa rotta verso il Canada. Respinti.
Sono clandestini, non hanno diritti.
Si ritorna in Europa. Il Belgio concede l’attracco nel porto di Anversa. A patto che ci sia un’equa ripartizione dei profughi. Il 17 giugno 1939, un mese e quattro giorni dopo la partenza, i “clandestini” possono sbarcare. L’Inghilterra ne accoglie 288, la Francia 224, l’Olanda 181 e il Belgio stesso 214. Di questi sopravvivono alla guerra solo in 365. Il resto muore. Molti nei campi nei campi di concentramento di Auschwitz e a Sobibor.
Questa e altre macchie pesano ancora sulla coscienza dei Paesi liberi e democratici.
Quanto a Lise la sua rocambolesca vicenda si chiude come in una grande tragedia greca. È appena sbarcata in Svezia, che, nei giorni di Natale del 1938, le giunge notizia che il suo collega, un chimico, Otto Hahn ha portato a termine l’esperimento che lei aveva progettato. Ha bombardato il nucleo di uranio con neutroni lenti e ha ottenuto strani risultati. Tra i prodotti di reazione c’è il bario, un elemento molto più leggero dell’uranio. Hahn non sa darsi una spiegazione. E, via lettera, chiede lumi a Lise.
L’austriaca, insieme al nipote Otto Frisch che l’ha raggiunta, la spiegazione la trova. Hai ottenuto la fissione dell’atomo: hai spaccato il nucleo di uranio. E hai liberato una quantità enorme di energia.
In capo a pochi giorni i fisici nucleari dei paesi liberi e democratici, che si trovano per caso tutti a New York, comprendono che è possibile applicare quella scoperta per ottenere un’arma di distruzione di massa di inusitata potenza.
Verrà realizzata, quella bomba. Ma Lise, interpellata, si rifiuta di partecipare alla sua costruzione. Fosse anche vero che è un deterrente verso i nazisti, che l’hanno perseguitata e a cui è sfuggita per un pelo, lei non può piegare la fisica alla logica militare. Non può contribuire alla creazione di un’arma di distruzione di massa.
Nel 1945 a Otto Hahn verrà conferito il premio Nobel per la scoperta della fissione dell’atomo. Alla clandestina che è riuscita a trovare un buco nel muro con cui i Paesi liberi e democratici hanno risposto alla domanda disperata dei profughi ebrei non va alcun riconoscimento.

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Articolo pubblicato su Left del 13 luglio 2018. Pietro Greco è autore del libro Lisa Meitner, L’Asino d’oro edizioni

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 A San Rossore il 5 settembre, 80 anni dopo le leggi razziali in Italia

Negli stessi giorni in cui Lise Metner riesce a mettersi in salvo, in Italia arrivano le leggi razziali. E oggi, 5 settembre, nel luogo dove vennero firmate dal re Vittorio Emanuele III, la tenuta di San Rossore (Pisa), si tiene una iniziativa che coinvolge Comune, le università toscane, le scuole e la Regione. Non sarà solo ricordo e commemorazione ma anche impegno per un futuro senza discriminazioni. La Regione, assieme ai giovani della comunità ebraica, si confronteranno su diritti e integrazione con le seconde generazioni di immigrati che vivono oggi in Toscana.

«Il ricordo – si legge nella presentazione dell’evento – la memoria vigile che deve tenere insieme “l’impronta del passato (parole di Italo Calvino) e il progetto del futuro”, l’approfondimento accademico, l’incontro con chi da lontano è venuto a vivere in Toscana. Gli ingredienti della giornata del 5 settembre sono vari e cosa c’entrino i migranti che sono venuti a cercare in Italia la speranza di un domani migliore con la persecuzione degli ebrei e dei così etichettati ‘diversi’ ce lo insegna Evian. Siamo sempre nel 1938, a ridosso delle Alpi sul lago di Ginevra. Stati Uniti e Società delle Nazioni organizzarono nella cittadina termale francese una conferenza per decidere sulla sorte di decine di migliaia di profughi tedeschi e austriaci, per lo più ebrei ma non solo. Parteciparono trentadue diversi Paesi (nove dall’Europa) e nacque lì il diritto dei rifugiati, ma la conferenza si chiuse con un nulla di fatto. Non fu trovato infatti alcun accordo sulle quote di accoglienza e gli ebrei, gli oppositori politici e le persone che il terzo Reich considerava non omologabili e che già dopo l’Anschluss erano in fuga dalla Germania furono costrette a tornarsene a casa, rimpatriati. Come quella nave, tedesca, carica di profughi che arrivò fin nei Caraibi ma dovette tornarsene in Europa. Solo Santa Domingo dichiarò di essere pronta ad ospitare fino a 10 mila ebrei, mentre la Bolivia, fino al 1941, ne accolse ventimila».

San Rossore è il luogo dove nel 1938 sono state firmate le leggi razziali italiane. Ma è anche la tenuta dove dieci anni fa, nel meeting estivo internazionale organizzato per diversi anni dalla Regione Toscana, altri scienziati – Rita Levi Montalcini, Enrico Alleva e molti altri – hanno firmato nel 2008 il Manifesto degli scienziati antirazzisti: dieci punti del tutto opposti, a partire dall’affermazione che le razze non esistono. Ora sarà rilanciato il manifesto delle nuove generazioni italiane, scritto nel 2016 e che sogna una scuola capace di gestire la multiculturalità, di valorizzare la conservazione della cultura del paese di origine ma anche di rafforzare il legame con la cultura italiana e il sostegno di pari diritti civili e politici per tutti.

Il programma 
Il programma del 5 settembre 2018 prevede la mattina, assieme al Comune di Pisa, la deposizione di due corone di alloro prima al cimitero monumentale ebraico e poi alla tenuta di San Rossore, davanti alla lapide che ricorda la firma delle legge razziali e la persecuzione degli ebrei.

Alle 12 nella sala Gronchi delle Cascine Vecchie della Tenuta di San Rossore è prevista una conferenza stampa in cui saranno presentate le iniziative, i convegni, i seminari e gli incontri nelle scuole sulle leggi razziali – dal 20 settembre e nei prossimi mesi – , organizzate dalle Università della Toscana e finanziate dalla Regione.

Dopo la conferenza stampa è prevista l’inaugurazione della mostra “1938 – La storia” del Museo della Shoah di Roma a cura dell’ente parco San Rossore: un ricordo sull’esclusione e poi persecuzione degli ebrei attraverso, foto, documenti e giornali in gran parte inediti. La Toscana non è nuova ad iniziative sulla memoria. La Regione dal 2002 ha fatto partire dieci volte in quattordici anni un treno per Auchwitz, su cui complessivamente sono saliti settemila studenti e oltre seicento insegnanti, e negli anni pari dal 2006 ha organizzato una giornata con ottomila studenti in Toscana. Un format che ha fatto da apripista a viaggi di approfondimento analoghi in altre regioni.

Alle 13 ci sarà alla Sterpaia il pranzo con i giovani ebrei e i giovani rappresentanti delle comunità di immigrati presenti in Toscana, una cinquantina di persone in tutto. Dopodiché sarà la volta del ‘world cafè’, ovvero di un confronto partecipato sulla diversità come valore, la formazione come garanzia di rispetto delle diversità e su progetti efficaci per coinvolgere le nuove generazioni.