Un’analisi combinata delle diverse linee intorno a cui si esercitano violenza e sopraffazione, può fornire gli strumenti per una vera resistenza. È la tesi, più che attuale, di Donne, razza e classe, saggio di un’icona rivoluzionaria come Angela Davis. A 40 anni dalla sua pubblicazione è tornato a circolare in Italia. Ce ne parla la co-traduttrice

Non ero ancora nata quando la mia famiglia, negli anni Sessanta, lasciò Haiti per sfuggire alle persecuzioni del regime di Duvalier. Arrivati in Italia come richiedenti asilo, ottennero tutti lo status di rifugiato politico. Compresa mia nonna, italiana di nascita, ma che in quanto donna, secondo la legge allora vigente, aveva perso la sua cittadinanza per aver sposato uno straniero, uno che di cognome faceva Moïse. Insieme alla cittadinanza, nonna perse tutti i diritti ad essa connessi, da quello di voto alla possibilità di esercitare la sua professione di insegnante. E se oggi quella legge è stata abolita è grazie alla tenacia di nonna e della marea di donne che scesero in piazza in quegli anni alla conquista dei propri diritti.

Così, sono nata con un “privilegio”: quello di ereditare da una parte la cittadinanza italiana, e dall’altra il cognome dei Moïse, ovvero il nome trasmesso a me attraverso i secoli da una famiglia di schiavi d’origine africana. Com’era consuetudine ai tempi tratta transatlantica degli schiavi, i colonizzatori del cosiddetto “nuovo mondo” usavano sostituire il nome d’origine dei loro schiavi con un nome biblico (Moïse significa Mosè in francese) per sradicarli definitivamente dalla loro terra e dalla loro storia.

La schiavitù e il razzismo così come la violenza sulle donne e lo sfruttamento di classe si nutrono di un lavoro quotidiano di appiattimento della storia sul presente, un’operazione che rescinde i nessi tra i fenomeni sociali e le loro origini. Nella tabula rasa di un presente senza tempo e sempre uguale a se stesso, le ingiustizie ci appaiono come ostacoli perenni e insormontabili a cui non resta che abituarci nel momento in cui calano come un sipario su ogni orizzonte di cambiamento.

È questo il tempo della crisi economica contemporanea: la crisi che ha generalizzato la condizione di precarietà, impennato le cifre di femminicidi e violenze sessuali, moltiplicato le aggressioni razziste e il lavoro semi-schiavile dei migranti spinti ai margini della società.

Eppure, in questo presente disperante, un movimento sociale di…

L’articolo di Marie Moïse prosegue su Left n. 35 del 31 agosto 2018


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