Poeta, romanziere, è uno dei più grandi scrittori curdi. Lunedì 10 settembre alle 19, alla libreria Griot a Roma presenta “L’ultimo melograno”. Con lui Insieme all’autore Chiara Comito di Editoriaraba, Soran Ahmad dell'Istituto Internazionale di Cultura Kurda e il professore Adriano Rossi, Presidente dell'Ismeo e Simona Maggiorelli, direttrice della rivista Left,

«Tutti gli Stati del Medio Oriente sono multietnici, composti da diversi popoli e culture», ci ricorda l’autore de L’ultimo melograno (Chiarelettere) che oggi vive a Colonia in Germania. «Tuttavia le etnie dominanti tentano da sempre di costringere le altre a rinnegare una parte della loro identità culturale. I governi di Iraq, Iran e Turchia hanno sempre cercato di creare (senza successo) Stati centralizzati con un’identità unitaria».

In questo quadro «i curdi sono sempre stati identificati come un fattore di instabilità perché hanno sempre difeso la propria lingua e la propria cultura. Qualsiasi processo di assimilazione era destinato a fallire. Gli Stati nazionali del Medio Oriente mirano a una sovranità assoluta: costruite su principi razzisti, queste società dell’odio hanno bisogno di nemici per sopravvivere e hanno eletto i curdi a nemici per garantire la propria unità».

Le radici di tutto questo sono indirettamente evocate ed indagate nel nuovo libro di Bachtyar Ali, L’ultimo melograno: un viaggio fiabesco nella storia del Kurdistan iracheno, composto come un’epica partigiana, all’epoca della feroce repressione compiuta da Saddam Hussein, di cui i curdi furono le prime vittime. «Milioni di esseri umani sono stati assassinati sotto il suo regime» ricorda Bachtyar Ali. «Saddam Hussein ha imposto al suo popolo una guerra dopo l’altra. Violento e sanguinario ha creato un nazionalismo basato sull’odio verso curdi ed ebrei. Ciò nonostante – sottolinea lo scrittore curdo iracheno – non è mai riuscito a controllare completamente il Kurdistan». E questa era una cosa insopportabile per lui. «Puntava a un dominio incontrastato, ma a dispetto della lucida e sistematica brutalità con cui mise in atto il proprio progetto, il suo potere rimase traballante, fragile».

Anche per questo è stato così spietato nei confronti dei curdi? «Ci ha considerati, senza eccezione alcuna, dei traditori. Chiunque non gli dimostrasse lealtà assoluta, veniva eliminato».

Drammaticamente oggi il passato ritorna. Dopo aver combattuto l’Isis ed essere stati celebrati come eroi, ora i curdi sono di nuovo oggetto di un micidiale attacco a freddo che mira ad eliminarli. Questa volta da parte della Turchia che l’Europa continua a foraggiare perché blocchi il flusso dei profughi siriani. Mentre scriviamo, Recep Tayyip Erdogan bombarda le zone a sud di Afrin, minaccia villaggi curdi iracheni e annuncia operazioni militari contro i combattenti del Pkk in Iraq, e dichiara di aver già ucciso più di tremila curdi dall’inizio dell’operazione “Ramo d’ulivo”. «Erdogan è un fascista», denuncia Ali. Ma il fatto ancor più tragico è che «in Medio Oriente il fascismo appartiene ormai al quotidiano. Da quasi un secolo siamo alle prese con dittature, società militarizzate, piani di sterminio, pulizia etnica e discriminazioni sistematiche». Erdogan, spiega Bachtyar Ali, purtroppo non è un fenomeno anomalo. «Nei fatti è una copia, una versione turca di Saddam Hussein: ossessionato dal potere, ha creato a sua volta uno stretto legame tra religione e nazionalismo. Usa slogan populisti per soggiogare la popolazione. Ad Afrin ha fatto uccidere centinaia di innocenti». Con la complicità diretta o indiretta di Assad, Putin, Trump, aggiungiamo noi. Protetto dal silenzio dell’Europa e delle Nazioni Unite. «Qui in Europa in molti sono a conoscenza delle azioni intraprese da Erdogan in Kurdistan», rimarca Ali. «D’altronde, molti sanno anche del reclutamento da parte del governo turco di centinaia di jihadisti dell’Isis per combattere i curdi, eppure continua ad avere il completo supporto dei Paesi europei».

In questo silenzio assordante risuonano potenti le pagine de L’ultimo melograno, romanzo dal sapore epico, che racconta la storia locale trasformandola in una storia universale. Nazionalismo e religione al contrario ci rendono ciechi e sordi verso ciò che ci unisce?

«Ovunque nel mondo gli esseri umani si trovano ad affrontare gli stessi problemi, condividono gli stessi sentimenti, e anche i diversi concetti di morale non sono del tutto estranei l’uno all’altro. Cercare l’universale – avverte Ali – non significa negare la diversificazione e l’alterità. Gli aspetti universali trovano una loro funzione solo se collegati alla dimensione locale, ed è attraverso narrazioni locali che i valori universali hanno modo di emergere. Religione e nazionalismo ci fanno più piccoli: non solo rendono ciechi, ma ci trasformano in mostri».

In questo libro il protagonista, Muzafari, riesce a sopravvivere a 21 anni di prigionia anche grazie a un messaggio scritto che riceve, una volta all’anno, da un compagno lontano. La scrittura può essere anche uno strumento di resistenza? «Se non la concepissi come tale mi sarebbe difficile continuare a scrivere», risponde Bachtyar Ali. «Il Medio Oriente è dominato da forze oppressive e distruttive, la scrittura diventa necessariamente un atto di resistenza. Laddove manca la libertà di pensiero, allora la scrittura non può che essere sentita come un atto di resistenza. In una società schiacciata dalla paura, la scrittura mi ha dato il coraggio di continuare a combattere il razzismo e il fanatismo religioso. È solo attraverso la scrittura che posso continuare a vivere».

Fin dal medioevo le valli del Kurdistan risuonano di canti e poesia. L’antica tradizione dei dengbêj, cantastorie simili agli antichi aedi sembra risuonare nella prosa poetica di Bachtyar Ali, nella sua narrazione onirica fra buie prigioni, inaspettati boschi, castelli, piogge rigeneranti.

«La letteratura curda ha radici molto antiche» racconta Ali. «Fino all’inizio del XX secolo la produzione scritta comprendeva soprattutto poesia e componimenti in versi. Alcuni poeti curdi come Nali, Mahwie, Goran und Sherko Bekashanno mi hanno molto influenzato». Ma non sono stati i soli. «A casa ho avuto una grandiosa narratrice, mia nonna: è lei che mi ha insegnato come si raccontano le storie».

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L’appuntamento Lunedì 10 settembre alle 19, la libreria GRIOT di Roma presenta “L’ultimo melograno” del romanziere curdo-iracheno Bachtyar Ali (2018, Chiarelettere). Insieme all’autore partecipanno Simona Maggiorelli, direttrice della rivista Left, Chiara Comito di Editoriaraba, Soran Ahmad dell’Istituto Internazionale di Cultura Kurda e il professore Adriano Rossi, presidente dell’Ismeo. Info: www.facebook.com/events/255909885263179/