Scritto da Luca Falorni, il libro racconta la deindustrializzazione, il ripiegamento della città su se stessa, l'involuzione ideologica degli ex Pci, la vittoria del M5s.

Parlare di Livorno rimanda spesso a fatti grandiosi, come le Leggi Livornine, la città delle Nazioni con le sue chiese ed i suoi cimiteri, la stampa tra le prime dell’edizione italiana dell’Encyclopédie – la summa del pensiero illuminista-, la cacciata del Granduca e la dittatura democratica di Francesco Domenico Guerrazzi nei moti del ’48-’49, la difesa in armi della città contro gli Austriaci, la fortissima presenza dell’associazionismo massonico che si intersecava col moto socialista e della Prima Internazionale, la fondazione del PcdI, gli straordinari protagonisti della Resistenza come Barontini e la rinascita democratica con sindaci del dopoguerra come il filosofo Nicola Badaloni e lo storico Furio Diaz. Fatti grandi anche in negativo, come il ruolo e la presenza della famiglia Ciano nelle vicende del fascismo italiano.
Voci possenti e corsare. La Livorno ribelle dagli anni Ottanta ad oggi (Agenzia X) dell’esule volontario Luca Falorni non rimanda a niente di tutto questo. Ci narra, in forma diretta ed in forma di riflessione, facendo parlare direttamente i protagonisti, del lungo inglorioso crepuscolo della città, dagli anni Ottanta dello scorso secolo ad oggi. Quando si logora definitivamente il binomio porto-partecipazioni statali, dove il Pci seppur non ancora Ds-Pds-Pd mostra tutti i segni dell’involuzione ideologica e della mancata comprensione del modificarsi delle condizioni strutturali che lo avevano reso protagonista.
Dove valori, principi, idealità si dissanguano e si fanno evanescenti.
Dove la disoccupazione giovanile dilaga.
La deindustrializzazione della città, il ripiegamento nella rendita immobiliare e nel commercio.
Un libro doloroso, in cui l’autore ci narra in prima persona del proprio acre seppur autoironico distacco dalla sua città, per finire nelle nebbie milanesi.
Doloroso per la lunga scia di morti per eroina e per i suicidi che lo segna, per la fine della pietas labronica – dove “il piccino era sacro” – rappresentata dai commenti e dall’atteggiamento della città di fronte alla morte nel 2007 di alcuni poveri bimbi rom nel rogo della loro roulotte.
Una ribellione contro la volgarizzazione operata da Virzì nei suoi film della labronicità, spogliata dai suoi non pacificati aspetti costitutivi e resa compatibile per una diffusione edulcorata a livello nazionale.
Una Livorno giovanile che trova le sue forme di espressione sul piano artistico-musicale e tramite la pratica dell’occupazione degli spazi, dove in assenza di un ’77 cittadino ci vengono descritte le varie ondate che arrivano fino ad oggi. Una presenza che passa soprattutto dai giovani livornesi studenti universitari in quel di Pisa, che mostra difficoltà a divenire punto di riferimento dei settori operai. Un libro da leggere, per la capacità di scrittura dell’autore, per la riflessione sociologica e politica di Silvano Cacciari, per le testimonianze dirette dei protagonisti. Che spiega come sia stata possibile la vittoria del Movimento 5 Stelle alle elezioni per il sindaco di Livorno e come potrebbe esserla quella della Lega salviniana alle prossime amministrative.
Un aspetto colpisce particolarmente: la mancanza di riferimento allo scioglimento del Pci – seguito alla Bolognina di Occhetto – per la quasi totalità dei protagonisti. Eppure ho potuto constatare di persona quale forza popolare e quale fortissimo aspetto emotivo – oltre che politico – avesse rappresentato a Livorno lo scioglimento del Pci e la nascita del Movimento per la rifondazione comunista. Questa data e questo tornante non è assolutamente periodizzante per le vicende descritte e nelle vite dei testimoni.
Solo in un periodo assai tardo rispetto all’’89-’91 si assiste alle ripresa di una simbologia e di una pratica “comunista”, di un comunismo delle origini da contrapporre al presente e rispetto al quali dichiararsi i diretti e legittimi interpreti.
Ed è questo un punto di estremo interesse.
Un libro con alcune gustose chicche, come i trascorsi musicali assieme al Falorni nel gruppo post-wawe DTX. I Deltatauki del deputato del Pd Andrea Romano, proveniente da Scelta civica passando dalla Fondazione di Montezemolo ma in gioventù aderente a Lotta Comunista.
Perché se la vita collettiva ed individuale è ricca di contraddizioni, la coerenza rimane pur sempre una virtù. O almeno dovrebbe.
Un libro da leggere, da discutere e sul quale riflettere: e di questo non possiamo che essere grati all’autore, al quale mi lega una antica comune frequentazione delle aule della facoltà di lettere e soprattutto dei bar, mescite ed osterie di Pisa e dei monti sovrastanti.