Intervista a Giovanni Gaetani, autore di “Come se Dio fosse antani. Ateismo e filosofia senza supercazzole”. Un libro che affronta con un linguaggio chiaro e veloce i temi cari alla filosofia dell’ateismo, dall’inesistenza di Dio all’etica umanista. Il libro sarà presentato il 28 e 29 settembre a Savona e a Sarzana nell'ambito del Book Pride di Genova

L’editore Nessun Dogma ha pubblicato “Come se Dio fosse antani. Ateismo e filosofia senza supercazzole” di Giovanni Gaetani. Un libro che affronta con un linguaggio chiaro e veloce i temi cari alla filosofia dell’ateismo, dall’inesistenza di Dio all’etica umanista. Abbiamo rivolto all’autore qualche domanda, anche in vista delle presentazioni che lo vedranno impegnato in Liguria il 28 e 29 settembre, al Book Pride di Genova, a Savona e a Sarzana.

“Come se Dio fosse antani” è un libro che, come da sottotitolo, parla di “ateismo e filosofia senza supercazzole”. Una scelta doppiamente controcorrente per un Paese che si sta riscoprendo sempre più tradizionalista, populista e “anti-filosofico”, per così dire. Perché questa scelta? Quanto di politico e quanto di personale c’è in essa?

Uno degli slogan del femminismo di seconda ondata era: “Il personale è politico”. Confesso dunque senza timore che le motivazioni nascoste dietro questo libro sono prima di tutto personali. Ho studiato filosofia per nove anni a Roma, in un’università alquanto cattolica. Salvo rare eccezioni, l’ateismo veniva considerato da professori e studenti una sorta di “errore del pensiero”. Come se, appunto, la “vera filosofia” – infarcita di misticismo e oscurità – conducesse sempre a Dio in un modo o nell’altro. Nel tempo io invece mi sono convinto del contrario: più ci sforziamo di parlare chiaramente, più l’idea di Dio è destinata a scomparire. È stato un percorso faticoso e solitario, senza guide né appoggi esterni – l’Uaar stessa l’ho conosciuta molto tardi, soltanto nel 2013. Ma è proprio qui che il personale si unisce al politico.

Ho scritto questo libro proprio per “far apparire normale” e “legittimare” l’ateismo agli occhi di un ragazzo o di una ragazza di quindici anni, come nessuno ha fatto all’inizio della mia deconversione. Perché, quando a quell’età si cominciano ad avere i primi dubbi su Dio e la religione, ci si ritrova da soli e senza guide, e l’ateismo è un’opzione che mette un certo timore. Ecco, l’obiettivo era far capire ad un adolescente che non credere in Dio può essere una scelta filosoficamente coerente, ragionata, positiva – “normale” appunto, con buona pace di quanto possano pensare i loro genitori, professori, parenti e la società tutta.

Ricordo infatti che, durante la presentazione di Bologna, il commento di un lettore fu proprio questo: “Se avessi letto il tuo libro a quindici anni, forse avrei apprezzato di più la filosofia durante il liceo…”

Sì, questa frase me l’ha detta più di una persona e non può che farmi piacere. L’obiettivo principale era proprio questo: riuscire a parlare di una cosa seria e complicata come la filosofia, ma con un linguaggio chiaro e ironico, accessibile anche ai cosiddetti “non addetti ai lavori” – o, più in generale, a chiunque guardi con sospetto ai tecnicismi della filosofia accademica.

Questo doppio registro comunicativo, serio e ironico al tempo stesso, traspare già dal titolo. “Come se Dio fosse antani” nasce infatti dall’unione di due citazioni, giusto?

Esatto. La scelta di questo titolo è a modo suo un azzardo, ne abbiamo discusso a lungo con l’editore. Il problema è infatti che, se non si coglie almeno una delle due citazioni, il lettore rischia di non capirci nulla e di passare oltre…

Da una parte, la citazione più pop ed evidente è il “come se fosse antani”, supercazzola per eccellenza tratta dal film Amici miei di Mario Monicelli. L’altra citazione è invece molto più nascosta ed erudita. Si tratta dell’etsi Deus non daretur (“come se Dio non fosse”) di Ugo Grozio, filosofo e teologo olandese del diciassettesimo secolo. Sin dal titolo ho voluto mettere insieme questi due registri linguistici così diversi fra loro, proprio per far capire al lettore che si tratta di un libro serio e ironico al tempo stesso.

Il libro è pubblicato dall’editore Nessun Dogma, il progetto editoriale dell’Uaar, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Facendo entrambi parte di questa organizzazione, dobbiamo spesso confrontarci con lo scetticismo di chi pensa che non abbia senso battersi per la laicità e i diritti dei non-credenti in Italia. Come rispondi a questa critica?

L’egemonia culturale e politica del Cattolicesimo è profondamente radicata nella nostra mentalità, cosa che porta ogni italiano a considerare normali istituzioni e abitudini altrimenti inammissibili – pensa soltanto ai 6 miliardi pagati ogni anno dallo Stato alla Chiesa, senza che questo desti più di tanto clamore in un paese così attento alla spesa pubblica su altri fronti.

Il nostro attivismo è quindi doppiamente difficile. Perché non basta soltanto combattere contro quelle istituzioni e abitudini. No, bisogna prima di tutto sforzarsi di decostruire la mentalità che le legittima. Si tratta di smantellare quella narrazione (silenziosa ma onnipervasiva) che ogni italiano porta con sé sin dai tempi dell’infanzia e del catechismo. Ma per far ciò bisogna cambiar metodo. Non basta ripetere a spada tratta le ormai consolidate critiche alla religione. Bisogna piuttosto emanciparsi dalla religione stessa e costruire un’alternativa indipendente. Questa alternativa per me si chiama umanismo, ma in Italia purtroppo questa filosofia fatica a farsi conoscere.

Nel tuo libro parli anche di questo, precisamente nella postfazione, la Lettera a un’aspirante filosofa. Come spiegheresti in breve l’umanismo a chi non ne ha mai sentito parlare? E perché lo reputi così importante?

Riassumendo all’estremo, si tratta di una visione del mondo senza Dio che mette al centro del proprio universo gli esseri umani con le loro capacità empatiche e razionali. Tra i valori umanisti troviamo l’autonomia individuale, l’universalità dei diritti umani, la difesa della democrazia, la promozione del metodo scientifico, e molto altro ancora. Si tratta dunque di una posizione di vita indipendente e positiva che, a mio modo di vedere le cose, è la migliore evoluzione dell’ateismo. Mettiamola così: se l’ateismo costituisce l’universo di ciò in cui non credo, la pars destruens insomma, l’umanismo rappresenta tutto ciò in cui invece credo.

Ma c’è di più. Per me l’umanismo è così importante perché, a livello politico, ha una visione “intersezionale” – termine preso in prestito dal movimento femminista contemporaneo. Le associazioni umaniste, specialmente in Nord Europa, hanno compreso la necessità di un’azione politica a 360 gradi, che affianchi alle battaglie classiche del movimento ateo – laicità, ragione, libertà di pensiero, etc. – le rivendicazioni degli altri movimenti – quello Lgbt+, il femminismo, il fronte anti-razzista, etc. Per questo spero che anche in Italia l’umanismo prenda piede. Perché, se è vero che le oppressioni sono tutte interconnesse, di conseguenza devono esserlo anche le lotte.

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Andrea Ruggeri è coordinatore del circolo UAAR di Bologna