La storia degli impieghi non retribuiti ha radici millenarie. Si va dall’antico lavoro servile alle mansioni domestiche non riconosciute da un welfare patriarcale. Ma il passaggio al postfordismo ha amplificato il fenomeno. E il furto del salario, oggi, avviene anche senza che ce ne accorgiamo

La questione del lavoro gratuito è una faccenda millenaria. Dall’antica sudditanza e subordinazione nel lavoro servile, alla novecentesca accumulazione capitalistica tramite una commistione di lavoro retribuito e gratuito, quasi naturalmente iscritta nel contratto di lavoro salariato, duratura eredità di quella condizione servile, riprendendo i classici studi di Yann Moulier-Boutang (Dalla schiavitù al lavoro salariato, manifestolibri, 2000).
Ma si dovrebbe chiedere alle donne e al millenario furto di lavoro non retribuito che continuano a subire. «Lo chiamano amore, noi lo chiamiamo lavoro non pagato». Questo il motto che nel lontano 1975 apre la campagna femminista internazionale in favore del Salario per il lavoro domestico, ad opera di Silvia Federici. Per denunciare come il cuore oscuro del patto maschile tra “i produttori”, il capitale e il lavoro, fosse l’implicito e invisibile sfruttamento del lavoro femminile di cura e riproduzione sociale, all’interno dell’ordine familiare e di un sistema di welfare patriarcale e paternalista. Non a caso, proprio in quegli anni, Ivan Illich parla di “lavoro ombra” (Shadow work, 1981), una formula attuale, come vedremo.
La recente storia del post-fordismo all’italiana ci racconta come, nelle prestazioni lavorative della società della conoscenza, siano le…

L’articolo di Giuseppe Allegri prosegue su Left in edicola dal 5 ottobre 2018


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