La conference annuale del partito, in cui si sono chieste elezioni anticipate, dimostra che gli avversari interni del leader ormai non contano. Lo si è visto anche sulle mozioni votate per rinazionalizzare i servizi essenziali. Grandi protagonisti i sindacati

Un appuntamento molto atteso la conference annuale del Partito laburista a Liverpool. Per due motivi. Il primo è che il Labour ha passato un’estate infernale in cui è stato vittima di una campagna mediatica ferocissima con accuse di antisemitismo che hanno raggiunto tanto Jeremy Corbyn quanto il partito stesso, dipinto come razzista e antisemita. Il secondo è che, in un partito che vota formalmente decine e decine di mozioni che vengono sottoposte alla conference dai partiti locali e dai sindacati affiliati, c’era molta preoccupazione per il voto circa la linea da tenere sulla Brexit. Molti temevano (altri speravano) che il Labour si sarebbe spaccato tra chi sostiene che la Brexit sia un processo inarrestabile che va gestito da sinistra e coloro che vogliono proporre un secondo referendum con l’obiettivo di interrompere l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Da Liverpool, però, il messaggio che è arrivato al Paese è stato incredibilmente forte e chiaro: vogliamo nuove elezioni anticipate. L’entusiasmo della base del partito era palpabile, così come lo era la determinazione della classe dirigente che si è susseguita sul palco della cinque giorni laburista. La sfida ai Tories è stata aperta e senza tentennamenti: non siete in grado di svolgere in maniera efficace le trattative per la Brexit, fate posto a noi, siamo pronti a farlo. Ciò che più ha colpito della conference laburista, tuttavia, è stata…

L’articolo di Domenico Cerabona prosegue su Left in edicola fino all’11 ottobre 2018


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