Nella città, dove l’asfalto lascia il posto alle piste di sabbia, il governo ha criminalizzato le attività legate al trasporto e all’ospitalità di migranti in transito. Tra le proteste degli attivisti che contestano la presenza dei militari stranieri

Poco più di un anno fa, il 5 ottobre 2017, gli Stati Uniti si svegliavano con una sorpresa macabra, destinata a occupare le prime pagine dei giornali per i mesi a venire: quattro berretti verdi, soldati delle forze speciali, erano stati uccisi da un gruppo jihadista, durante un’imboscata in Niger. Inchieste interne e ricostruzioni giornalistiche avrebbero messo in luce imprecisioni e superficialità nella catena di comando. A colpire l’opinione pubblica statunitense e alcuni senatori, era stata però la stessa presenza di centinaia di militari americani in un Paese africano, povero e sconosciuto a molti.
L’attacco di Tongo Tongo, un villaggio a 25 chilometri dal confine con il Mali, accendeva i riflettori sulla presenza di militari occidentali in Niger e sul ruolo del Paese come hub per operazioni anti-terrorismo tra Stati del Sahel e Libia. Oltre alle tre, più note, basi francesi, aperte nell’ultimo quinquennio, la stampa internazionale ha così parlato della base Usa per droni, la più grande del continente, alle porte della città di Agadez, rivelando recentemente anche l’esistenza di una base segreta della Cia, sempre per droni, nell’oasi di Dirkou, sulle piste per la Libia. Una caserma tedesca nella capitale Niamey, appoggio logistico per le operazioni militari nel vicino Mali, e una serie di consiglieri in tuta mimetica in alcune basi locali, completavano il quadro della presenza occidentale nel Paese. L’Italia si è aggiunta alla lista nel dicembre 2017, quando un governo Gentiloni in scadenza ha presentato, e fatto poi approvare dal Parlamento, l’invio di una missione militare in Niger per…

Il reportage di Giacomo Zandonini e Francesco Bellina prosegue su Left in edicola dal 12 ottobre 2018


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