Abbiamo intervistato Luna Gualano ed Emiliano Rubbi, rispettivamente regista e sceneggiatore di Go home - A casa loro, un horror allegorico in cui gli xenofobi sono dei morti viventi e l’unico luogo sicuro è un centro di accoglienza. Il film sarà proiettato in prima ufficiale alla Festa del Cinema di Roma il 18 ottobre (ore 16) e il 19 ottobre (ore 22.30)

Il maestro degli horror movie George A. Romero con La notte dei morti viventi nel 1968 denuncia il capitalismo ormai imperante, trasformando un’intera società, quella americana, in un esercito di zombie. Allo stesso modo la regista Luna Gualano e lo sceneggiatore Emiliano Rubbi vogliono rompere i tabù con Go Home – A casa loro denunciando il razzismo dilagante nel nostro Paese. Per farlo, hanno ideato un horror allegorico che si propone di usare gli zombie come metafora di una società sempre più chiusa e aggressiva nei confronti dei migranti e di tutto ciò che è “diverso”. Nel film, le cui riprese cominceranno il 6 agosto, gli zombie assediano Roma. L’unico posto sicuro in tutta la città è un centro d’accoglienza per migranti, al cui interno gli ospiti lotteranno strenuamente per rimanere in vita. Ma fra gli ospiti c’è un intruso: Enrico, un militante di estrema destra che stava picchettando l’ingresso del centro per impedirne l’apertura e che mentirà sulla propria identità pur di salvarsi la vita.

«L’idea è nata un giorno in cui con Emiliano commentavamo con amarezza l’ennesimo episodio di xenofobia avvenuto nel nostro Paese – spiega Luna – e a lui è venuta subito l’idea di girare un film horror ambientato in un centro d’accoglienza, con gli zombie metafora di quest’odio freddo che rende ciechi e omologati i razzisti, come fossero una massa indistinta e devitalizzata: proprio come dei morti viventi».

E così l’apocalisse zombie diventa un pretesto per costringere lo spettatore a entrare nei “loro” panni, a vivere dentro un centro d’accoglienza che nel film è l’unico luogo sicuro in un mondo che è ostile: un mondo che, letteralmente, li vuole mangiare vivi. Un’ottima occasione per osservare il mondo con gli occhi dell’“altro”: «Spesso i centri d’accoglienza vengono pensati come luoghi terribili, chi non li conosce può pensare che siano posti da cui stare alla larga – continua Luna -, così nel film facciamo diventare il centro l’unico posto sicuro al mondo e lo smitizziamo».

Go Home è stato pensato come un’opera multilingue: ci saranno scene in italiano, inglese, francese, arabo e in vari idiomi africani per dare una percezione reale di quello che succede dentro ad un centro d’accoglienza, in cui si incontrano di continuo lingue e culture diverse. «Go Home è un horror, ma non è solo questo: è anche un film sociale e a tratti d’autore. Ha delle caratteristiche che non sono proprie dell’horror commerciale, ma sarà comunque un film “pop”. Con Go Home vogliamo smuovere le coscienze, lanciando un messaggio forte e vogliamo che arrivi a più persone possibili».

Sono numerosi gli artisti che hanno sposato il progetto del film: dal fumettista Zerocalcare che ha disegnato la bellissima locandina del film, ai cantanti de Il Muro del Canto, Train to Roots, Daniele Coccia Paifelman e Piotta che ne firmeranno la colonna sonora. Al film parteciperanno diversi attori africani (professionisti e non) attualmente richiedenti asilo, ospiti in diverse strutture della Capitale. «Nella mia associazione Il ponte sullo schermo – dice Luna – insegno videomaking e recitazione a ragazzi provenienti da vari centri d’accoglienza di Roma. I partecipanti oscillano fra i 30 e i 40 ragazzi e i più assidui sono quei 14 che seguiranno il film». I ragazzi dell’associazione parteciperanno attivamente alla realizzazione di Go Home come attori o come membri della troupe e potranno apprendere le nozioni necessarie per potersi esprimere con linguaggi audiovisivi, per restituire un’immagine reale di se stessi, come vaccino contro la xenofobia e l’idea falsa e distorta secondo cui rappresenterebbero un “pericolo”. «Nell’associazione c’è un ragazzo nigeriano che sarà parte integrante della troupe di Go Home – continua Luna -. In Africa faceva il videomaker, ma qui non gli è permesso. Il sistema italiano purtroppo tende a etichettare chi emigra dal proprio Paese, a far passare in secondo piano ciò che realmente sono queste persone, quello che hanno imparato e quello che sanno fare. Secondo me anche questo è essere cervelli in fuga: mi sono sempre chiesta come mai i nostri ragazzi che espatriano li chiamiamo cervelli in fuga e chi arriva qui invece non lo è, è “solo” un altro immigrato».

Ma un tema del genere ha già fatto scoppiare le polemiche sui social: «Sapevamo che il film avrebbe suscitato questo genere di reazioni, ma è proprio per questo che abbiamo deciso di farlo», sottolinea Luna. «Durante la creazione di questo progetto mi sono resa conto che a volere un’Italia diversa, meno xenofoba, siamo veramente in tantissimi. È vero, ci sono razzisti come Salvini e tutto il suo seguito che magari fanno più rumore e tendono a sembrare più numerosi di noi, ma non è così. Noi tendiamo a non attirare molto l’attenzione e quindi sembriamo una minoranza. Questo fatto paradossalmente influenza le politiche nazionali per cui i capi degli schieramenti si convincono che per quella manciata di voti in più si può anche essere xenofobi e razzisti. E allora è importante far vedere quanti siamo. Mostrare che esiste un’Italia della solidarietà, che non usa slogan e che non è così populista. Noi proviamo a farlo con Go Home».

 

L’articolo di Elena Basso è stato pubblicato su Left del 5 agosto 2017


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