All’alba del 22 ottobre 2009 muore, paralizzato e disidratato, Stefano Cucchi, arrestato sei giorni prima per una ventina di grammi di hashish. Le carte della prima inchiesta, che rinviò a giudizio guardie carcerarie e sanitari del Pertini, dicevano già che c’erano questioni da chiarire rispetto alle ore in cui il giovane era stato nelle mani dei carabinieri. Ma ci vorranno nove anni perché venissero alla luce il pestaggio e i nomi dei carabinieri picchiatori. Se c’è una novità in questa storia è quella che spiega a Left Fabio Anselmo, il più famoso avvocato dei casi di “malapolizia”: «È la prima volta che a parlare è uno dei protagonisti diretti». Si tratta di Francesco Tedesco. Da imputato di omicidio preterintenzionale si è trasformato in grande accusatore dei colleghi coimputati. Però nove anni dopo. Scrisse un rapporto proprio il giorno in cui seppe della morte di Stefano, ma lo insabbiarono. È stata la determinazione di Giovanni, Rita e Ilaria, padre, madre e sorella di Cucchi, a trasformare un dolore privato in una storia condivisa. Ma di cosa parliamo quando parliamo di Cucchi, o Aldrovandi e Uva, Budroni, Magherini? Prendiamo Ilaria. Ilaria che buca lo schermo. Come Salvini, al contrario però di Salvini. Più come Mimmo Lucano. L’Italia è un Paese spaccato, come raccontano le piazze di questi giorni. È la linea etica: i solidali e gli ostili, gli ostili contro i solidali. E in mezzo, certo, gli indifferenti, che però sono più amici degli ostili. «Queste zecche del cazzo… speriamo che muoiano tutte… Intanto, uno a zero per noi», si disse in questura, a Genova, dopo l’omicidio di Carlo Giuliani mentre migliaia di agenti di ogni corpo violentavano i manifestanti. E i cellulari dei celerini squillavano cantando Faccetta nera. Sulle loro chat si possono leggere chicche come: «L’Italia non è uno stivale. È un anfibio da celerino». Ecco, quando parliamo di Cucchi parliamo anche della persistente subcultura fascistoide dentro settori di forze armate e di polizia. E i carabinieri che lo avrebbero pestato se ne vantavano al telefono: «Quel drogato di merda». Giovanardi dice lo stesso ma in modo più elegante. Ma il succo è sempre quello. Drogati di merda, immigrati di merda, poveri di merda. Giovanardi è anche l’autore, con Fini, della peggiore legge sulle droghe mai stata in vigore in Italia: ha riempito le galere di stefanicucchi e le tasche delle cosche. Quando…
L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 19 ottobre 2018
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