Verso il referendum sul trasporto pubblico di Roma. L'allarme dell'urbanista Berdini edei comitati per il No: a fare gola sono i soldi del fondo nazionale trasporti, un affare per chi potrà comprimere salari, ritoccare tariffe e linee dei bus. È la storia del servizio di periferia della Capitale già in mano ai privati senza benefici per gli utenti

Mentre a Genova le conseguenze delle privatizzazioni hanno la forma dei monconi del Ponte Morandi, a Roma si discute di privatizzare Atac, la più grande azienda di trasporto pubblico locale d’Europa. Si voterà l’11 novembre. «Dietro la sfida dei radicali – avverte Paolo Berdini, urbanista e presidente di Abc, Atac bene comune – c’è il tentativo di trasformare in merce un servizio e scaricarne i costi su lavoratori e utenti». Abc, insieme a “Calma” (Coordinamento associazioni locali mobilità alternativa), avverte che «con il referendum si vuole concludere la privatizzazione, già in atto. Ne seguiranno il taglio di ulteriori linee, l’aumento delle tariffe, licenziamenti, la svendita degli immobili Atac».

Promossa da Radicali italiani, la consultazione è legata strumentalmente al giudizio popolare su bus e metro (tempi d’attesa record, flotta vetusta, tagli alla manutenzione, mancati introiti per l’elevata evasione, il 63% dei viaggiatori di superficie che sono insoddisfatti, aggressioni al personale ecc…) e, in generale, al futuro di un’azienda che è stata alla mercé per vent’anni di spezzatini e fusioni, di guerre fra Regione e Comune per il conferimento dei fondi, di affidamenti ai privati di funzioni prioritarie, esternalizzazione e licenziamento di 140 addetti alla manutenzione, di appalti al massimo ribasso e incastri con il sistema di Mafia Capitale. Inoltre, dentro una tradizione di clientelismo «strutturale e strutturato» (parole di un dipendente che vuole rimanere anonimo), anche di una Parentopoli Nera, l’assunzione in massa di amici degli amici di Alemanno, 854 (su 11mila dipendenti di cui solo 6mila autisti) tra impiegati e dirigenti pescati anche fra reduci dei Nar e spesso con curriculum artefatti.

Anche la gestione a Cinque stelle, con l’avvicendamento di almeno tre assessori alle partecipate, e la nomina di un supermanager, Paolo Simioni, con tre cappelli (è controllato e controllore, presidente, Ad e commissario straordinario) è…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 26 ottobre 2018


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