Per capire Domenico, Mimì o Mimmo, Lucano e Riace, bisogna fare un salto indietro di venti anni. Pensare al palazzo Pinnarò nel centro storico, un tempo interdetto ai contadini e poi ai vicoli di un paesino bello ma con troppe case rimaste vuote. Erano arrivati da poco tempo i rifugiati curdi e alcuni dal Kosovo. Avevano trovato accoglienza, porte aperte e sostegno. Allora Mimì non era sindaco, aveva fondato una cooperativa, Città Futura e, nel solco di una cultura libertaria, insieme a pochi altri, si era messo in testa che quelle case potevano vivere nuova vita, che accoglienza potesse diventare sinonimo di fuoriuscita dalla marginalità in cui è confinata gran parte della Calabria.
In poco tempo il paese dei Bronzi divenne un posto da visitare, le case ristrutturate per dormire, mangiando specialità calabresi, eritree, curde, quello che c’era. Fra i tanti che avevano lasciato il paese qualcuno provò anche a tornare, a riaprire un bar, una bottega, ritrovando gli affetti che mancavano e persone nuove per le strade. Non c’è da stupirsi che Mimì in pochi anni e nonostante l’ostilità di speculatori e cosche, sia divenuto sindaco di Riace, riconfermato per tre mandati mentre il suo modello diveniva noto in tutto il mondo. Oggi il sogno si è solo interrotto. E si sente dalla voce infervorata, mentre parla da Caulonia, un paese vicino anch’esso noto per aver costruito un modello di accoglienza, che Mimì non si arrende.
Ci sono novità dal punto di vista giudiziario?
Dopo il mio arresto, avvenuto il 2 ottobre, e dopo che il Tribunale del riesame ha disposto la fine delle misure di trattenimento ma il divieto di dimora presso il mio paese, resto nell’attesa. I miei avvocati aspettano di conoscere le motivazioni del Tribunale per farmi rientrare a casa.
Concretamente su cosa poggiano le accuse?
Sono accusato di aver celebrato un matrimonio fra una ragazza richiedente asilo e un abitante di Riace. Per questo mi hanno arrestato. Cosa dovrebbero fare allora a chi rimanda i migranti nei lager in Libia? E poi…