Tempo rubato. Per una rivoluzione possibile tra vita lavoro e società di Simone Fana per la casa editrice Imprimatur è una pubblicazione estremamente significativa, da leggere, diffondere e discutere collettivamente. Per il contenuto, assolutamente centrale in questa fase sociale e politica, e perché segna finalmente la ripresa di un ciclo politico non più segnato dalla lunga stagione di sconfitte, ripiegamenti e abbandoni di campo che data almeno dalla batosta subita dal movimento operaio nel 1980 alla Fiat. Se andiamo indietro nel tempo, l'unico tentativo di leggere e contrastare la controffensiva padronale della fine anni Settanta che culminò nella marcia dei quarantamila fu quello del Pci dell'ultimo Enrico Berlinguer: la stagione dell'incessante richiamo ai pensieri lunghi seguita all'abbandono del compromesso storico e delle riflessioni sulle trasformazioni produttive. Un tentativo di rilievo sul piano politico-strategico ben colto - a suo tempo - dal gruppo del Manifesto di Lucio Magri e di Rossana Rossanda, che dopo la radiazione subita decise di rientrare nel Partito. Il libro di Simone Fana testimonia efficacemente che una nuova generazione di quadri politico-sindacali si sta affermando e proponendo come elementi di una possibile riaggregazione molecolare di una soggettività di classe, quadri che uniscono la passione per la militanza con la riappropriazione degli strumenti analitici ed intellettuali che hanno caratterizzato il meglio della tradizione marxista, italiana ed internazionale. Una generazione nata e formatasi - per una beffarda e proficua eterogenesi dei fini - proprio grazie alla crisi del 2007/8, dove un Capitalismo che si faceva natura e pretendeva di eternare sé stesso mostrava a livello mondiale le sue intime, strutturali e distruttive contraddizioni. Uno snodo che ha fatto saltare, per chi non fosse coperto dai detriti della sconfitta e dalle recriminazioni tutte interne ad un ceto politico autoreferenziale, l'apodittico assunto di marca thatcheriana del “Non ci sono alternative” e “La società non esiste, esistono solo gli individui”: il Realismo capitalista così bene e amaramente descritto da Mark Fisher è stato finalmente squarciato e la Storia, anche in Italia, può rimettersi in marcia. "La grande crisi del biennio 2007/2008 (…) porta a maturazione le contraddizioni di uno sviluppo trainato dalla fede incrollabile nella libertà di movimento delle merci e dei capitali e nella battaglia contro le organizzazioni del movimento operaio (…) segna lo sgretolamento dell'ordine neo liberale e il passaggio a una fase completamente nuova". La vecchia talpa ha ripreso a scavare. La storia delle riflessioni e proposte sull'orario di lavoro, da Marx ed Engels passando da Lenin per arrivare a Keynes, si intreccia efficacemente con la ricostruzione non paralizzante della stagione della controffensiva padronale della metà anni Settanta, seguita alla grande stagione delle lotte operaie dei decenni Sessanta e primi anni Settanta, arrivando ad indagare gli anni Novanta dell'implosione dell'Urss, del crollo dei Paesi dell'Est, della liberalizzazione dei movimenti di capitale, della privatizzazione delle imprese pubbliche e della riduzione drastica della spesa sociale. Un lavoro robusto, solido, dove il rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro - al centro della proposta dell'Autore la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario lungo l'arco della vita - viene ricondotto al cuore delle riflessioni del Marx dei Grundrisse sui meccanismi di produzione e riproduzione sociale del Capitalismo (ovvero all'analisi dei processi di valorizzazione che caratterizzano le strategie di accumulazione capitalistica), recuperando la spinta alla piena realizzazione umana che ha sempre contraddistinto la teoria e la prassi del movimento operaio nei suoi punti e stagioni più alte. Il cuore del saggio è lo scontro che nasce - dobbiamo far nascere - nei luoghi di lavoro estendendolo all'intera società, per “il tempo sottratto alla realizzazione di sé, il tempo rubato agli affetti personali, allo sviluppo della creatività individuale e collettiva”. Un ritorno quanto mai fecondo al primo Marx, che deve tuttavia nutrirsi ed irrobustirsi con una rinnovata Teoria dello Stato al tempo della crisi del nesso costituzionale tra lavoro e cittadinanza, crisi connessa anche alla transizione dal fordismo al post-fordismo ed al fenomeno strutturale del lavoro povero. Una Teoria critica dello Stato imperniata nella doppia funzione di produttore di beni e servizi pubblici e regolatore dei conflitti distributivi tra le classi. Un lavoro, quello di Simone Fana, esplicitamente partigiano e militante: ricomporre un terreno comune di lotta ad un segmentato mondo del lavoro dipendente, che non sa più riconoscersi come una soggettività autonoma, è l'obbiettivo. Scopo dichiarato già nella citazione del Lukàcs di Storia e coscienza di classe che fa da premessa all'intero lavoro: “La lotta sociale si rispecchia ora in una lotta ideologica per la coscienza, per l'occultamento o la scoperta del carattere classista della società. Ma la possibilità di questa lotta rimanda già alle contraddizioni dialettiche, all'interna dissoluzione della pura società classista”. Perché la scelta dell'impresa di recuperare profitto attraverso la frantumazione dell'organizzazione della produzione, con il ricorso a processi di decentramento produttivo che riducono la massa salariale comprimendo il costo del lavoro allargando le maglie della flessibilità in entrata ed uscita, non è operazione meramente economica, bensì squisitamente politica. (Ed interessante sarebbe tornare a riflettere su quella straordinaria esperienza - sebbene a noi funesta - del Progetto Valletta della Fondazione Agnelli, tutto teso a rinvigorire una coscienza di classe padronale scossa alle fondamenta dalle contestazioni operaie). Si attaccava in quel modo il peso quantitativo del lavoro operaio, la sua stabilità contrattuale, la sua presenza conflittuale nella fabbrica: il suo essere effettivo contro-potere. La perdita di centralità della classe operaia come soggetto politico del conflitto capitale-lavoro tracima nella perdita di senso dei soggetti operai e nel non esser più il lavoro, la frattura di classe, l'asse politicizzato che innervava e definiva l'intero sistema sociale. Si sgretola il nesso tra lavoro e costruzione del sé, si erodono i legami simbolici che ricomponevano l'identità individuale e collettiva sul terreno del lavoro vivo: si gettano le basi per la razionalità ordoliberale dell'imprenditore di sé stesso e della società della prestazione. Una proposta, quella che ci viene presentata e ben argomentata, “radicalmente riformatrice”, che mostra di aver ben rifunzionalizzato sia il Piano del Lavoro elaborato dalla Cgil di Di Vittorio nel biennio 1949-50 e sia o soprattutto - e non sembri paradossale - il Togliatti di Ceti medi ed Emilia Rossa, dove il cuore della proposta del dirigente comunista consisteva sostanzialmente nella riaffermazione teorico-pratica del “conflitto come motore dello sviluppo”. Ed è questa una qualità dell'autore che a noi preme sottolineare: recuperare in maniera laica il meglio della tradizione comunista, ivi compresa la linea della democrazia progressiva - ovvero la possibilità di utilizzare, attraverso la mobilitazione sociale e politica, la Costituzione repubblicana come levatrice di una società non più capitalistica -, socialista, con un non esplicitato ma presente riferimento all'esperienza del Primo centro-sinistra della nazionalizzazione, pianificazione e programmazione e soprattutto operaista, da Raniero Panzieri all'esperienza dei Quaderni Rossi seguendo altresì il percorso complesso e non privo di contraddizioni di Mario Tronti. Buona lettura, dunque. Anzi, buon lavoro e soprattutto buona lotta: per una riduzione del tempo di lavoro a parità di salario lungo l'arco della vita che costituisca una rivendicazione politica, una battaglia di parte, “da conquistare organizzando una parte contro un'altra. La parte di chi vive di salario contro quella che vive di rendita e di profitto”. Perché ci sono due classi fondamentali: niente di più, niente di meno.
Sabato 10 novembre, alle 17:00, presso la libreria Marabuk di FirenzeSimone Fana - con l’introduzione e coordinazione di Piergiorgio Desantis dell’associazione e rivista il Becco, e Maurizio Brotini (segretario Cgil Toscana) come relatore - presenterà il suo libro Tempo Rubato

Tempo rubato. Per una rivoluzione possibile tra vita lavoro e società di Simone Fana per la casa editrice Imprimatur è una pubblicazione estremamente significativa, da leggere, diffondere e discutere collettivamente.
Per il contenuto, assolutamente centrale in questa fase sociale e politica, e perché segna finalmente la ripresa di un ciclo politico non più segnato dalla lunga stagione di sconfitte, ripiegamenti e abbandoni di campo che data almeno dalla batosta subita dal movimento operaio nel 1980 alla Fiat.

Se andiamo indietro nel tempo, l’unico tentativo di leggere e contrastare la controffensiva padronale della fine anni Settanta che culminò nella marcia dei quarantamila fu quello del Pci dell’ultimo Enrico Berlinguer: la stagione dell’incessante richiamo ai pensieri lunghi seguita all’abbandono del compromesso storico e delle riflessioni sulle trasformazioni produttive.

Un tentativo di rilievo sul piano politico-strategico ben colto – a suo tempo – dal gruppo del Manifesto di Lucio Magri e di Rossana Rossanda, che dopo la radiazione subita decise di rientrare nel Partito.

Il libro di Simone Fana testimonia efficacemente che una nuova generazione di quadri politico-sindacali si sta affermando e proponendo come elementi di una possibile riaggregazione molecolare di una soggettività di classe, quadri che uniscono la passione per la militanza con la riappropriazione degli strumenti analitici ed intellettuali che hanno caratterizzato il meglio della tradizione marxista, italiana ed internazionale.

Una generazione nata e formatasi – per una beffarda e proficua eterogenesi dei fini – proprio grazie alla crisi del 2007/8, dove un Capitalismo che si faceva natura e pretendeva di eternare sé stesso mostrava a livello mondiale le sue intime, strutturali e distruttive contraddizioni.

Uno snodo che ha fatto saltare, per chi non fosse coperto dai detriti della sconfitta e dalle recriminazioni tutte interne ad un ceto politico autoreferenziale, l’apodittico assunto di marca thatcheriana del “Non ci sono alternative” e “La società non esiste, esistono solo gli individui”: il Realismo capitalista così bene e amaramente descritto da Mark Fisher è stato finalmente squarciato e la Storia, anche in Italia, può rimettersi in marcia.

“La grande crisi del biennio 2007/2008 (…) porta a maturazione le contraddizioni di uno sviluppo trainato dalla fede incrollabile nella libertà di movimento delle merci e dei capitali e nella battaglia contro le organizzazioni del movimento operaio (…) segna lo sgretolamento dell’ordine neo liberale e il passaggio a una fase completamente nuova”. La vecchia talpa ha ripreso a scavare.

La storia delle riflessioni e proposte sull’orario di lavoro, da Marx ed Engels passando da Lenin per arrivare a Keynes, si intreccia efficacemente con la ricostruzione non paralizzante della stagione della controffensiva padronale della metà anni Settanta, seguita alla grande stagione delle lotte operaie dei decenni Sessanta e primi anni Settanta, arrivando ad indagare gli anni Novanta dell’implosione dell’Urss, del crollo dei Paesi dell’Est, della liberalizzazione dei movimenti di capitale, della privatizzazione delle imprese pubbliche e della riduzione drastica della spesa sociale.

Un lavoro robusto, solido, dove il rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro – al centro della proposta dell’Autore la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario lungo l’arco della vita – viene ricondotto al cuore delle riflessioni del Marx dei Grundrisse sui meccanismi di produzione e riproduzione sociale del Capitalismo (ovvero all’analisi dei processi di valorizzazione che caratterizzano le strategie di accumulazione capitalistica), recuperando la spinta alla piena realizzazione umana che ha sempre contraddistinto la teoria e la prassi del movimento operaio nei suoi punti e stagioni più alte.

Il cuore del saggio è lo scontro che nasce – dobbiamo far nascere – nei luoghi di lavoro estendendolo all’intera società, per “il tempo sottratto alla realizzazione di sé, il tempo rubato agli affetti personali, allo sviluppo della creatività individuale e collettiva”.

Un ritorno quanto mai fecondo al primo Marx, che deve tuttavia nutrirsi ed irrobustirsi con una rinnovata Teoria dello Stato al tempo della crisi del nesso costituzionale tra lavoro e cittadinanza, crisi connessa anche alla transizione dal fordismo al post-fordismo ed al fenomeno strutturale del lavoro povero.

Una Teoria critica dello Stato imperniata nella doppia funzione di produttore di beni e servizi pubblici e regolatore dei conflitti distributivi tra le classi.

Un lavoro, quello di Simone Fana, esplicitamente partigiano e militante: ricomporre un terreno comune di lotta ad un segmentato mondo del lavoro dipendente, che non sa più riconoscersi come una soggettività autonoma, è l’obbiettivo.

Scopo dichiarato già nella citazione del Lukàcs di Storia e coscienza di classe che fa da premessa all’intero lavoro: “La lotta sociale si rispecchia ora in una lotta ideologica per la coscienza, per l’occultamento o la scoperta del carattere classista della società. Ma la possibilità di questa lotta rimanda già alle contraddizioni dialettiche, all’interna dissoluzione della pura società classista”.

Perché la scelta dell’impresa di recuperare profitto attraverso la frantumazione dell’organizzazione della produzione, con il ricorso a processi di decentramento produttivo che riducono la massa salariale comprimendo il costo del lavoro allargando le maglie della flessibilità in entrata ed uscita, non è operazione meramente economica, bensì squisitamente politica.

(Ed interessante sarebbe tornare a riflettere su quella straordinaria esperienza – sebbene a noi funesta – del Progetto Valletta della Fondazione Agnelli, tutto teso a rinvigorire una coscienza di classe padronale scossa alle fondamenta dalle contestazioni operaie).

Si attaccava in quel modo il peso quantitativo del lavoro operaio, la sua stabilità contrattuale, la sua presenza conflittuale nella fabbrica: il suo essere effettivo contro-potere. La perdita di centralità della classe operaia come soggetto politico del conflitto capitale-lavoro tracima nella perdita di senso dei soggetti operai e nel non esser più il lavoro, la frattura di classe, l’asse politicizzato che innervava e definiva l’intero sistema sociale. Si sgretola il nesso tra lavoro e costruzione del sé, si erodono i legami simbolici che ricomponevano l’identità individuale e collettiva sul terreno del lavoro vivo: si gettano le basi per la razionalità ordoliberale dell’imprenditore di sé stesso e della società della prestazione.

Una proposta, quella che ci viene presentata e ben argomentata, “radicalmente riformatrice”, che mostra di aver ben rifunzionalizzato sia il Piano del Lavoro elaborato dalla Cgil di Di Vittorio nel biennio 1949-50 e sia o soprattutto – e non sembri paradossale – il Togliatti di Ceti medi ed Emilia Rossa, dove il cuore della proposta del dirigente comunista consisteva sostanzialmente nella riaffermazione teorico-pratica del “conflitto come motore dello sviluppo”.

Ed è questa una qualità dell’autore che a noi preme sottolineare: recuperare in maniera laica il meglio della tradizione comunista, ivi compresa la linea della democrazia progressiva – ovvero la possibilità di utilizzare, attraverso la mobilitazione sociale e politica, la Costituzione repubblicana come levatrice di una società non più capitalistica -, socialista, con un non esplicitato ma presente riferimento all’esperienza del Primo centro-sinistra della nazionalizzazione, pianificazione e programmazione e soprattutto operaista, da Raniero Panzieri all’esperienza dei Quaderni Rossi seguendo altresì il percorso complesso e non privo di contraddizioni di Mario Tronti.

Buona lettura, dunque.

Anzi, buon lavoro e soprattutto buona lotta: per una riduzione del tempo di lavoro a parità di salario lungo l’arco della vita che costituisca una rivendicazione politica, una battaglia di parte, “da conquistare organizzando una parte contro un’altra. La parte di chi vive di salario contro quella che vive di rendita e di profitto”.

Perché ci sono due classi fondamentali: niente di più, niente di meno.

Sabato 10 novembre, alle 17:00, presso la libreria Marabuk di FirenzeSimone Fana – con l’introduzione e coordinazione di Piergiorgio Desantis dell’associazione e rivista il Becco, e Maurizio Brotini (segretario Cgil Toscana) come relatore – presenterà il suo libro Tempo Rubato