Un documentario di Nicolas Champeaux e Gilles Porte che utilizza materiale eccezionale: le registrazioni audio delle udienze del processo. E la grafica di Oerd van Cuijlemborg “disegna” gli spazi e i personaggi

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Nelson Mandela. La genesi dell’acclamato documentario The State against Mandela and the others, di Nicolas Champeaux e Gilles Porte, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes e riproposto al 59esimo Festival dei Popoli a Firenze, in prima nazionale, aggiunge umanità alla storia delle lotte contro l’apartheid. Ricostruendo il processo di Rivonia, avvenuto tra il 1963 e il 1964, il documentario svela che Mandela non era solo a lottare. Come lui, altri otto affrontarono il processo per crimini punibili in Sud Africa con la pena capitale. Uniti nella determinazione di non ricorrere in appello in caso di condanna, i nove riuscirono, con questa grande coesione tenuta durante il processo, a far conoscere al mondo i soprusi dei bianchi sui neri, e ad evitare la pena di morte.

Nicolas Champeaux non nasce regista. Lo è diventato per girare questo film. Da giornalista, corrispondente per Radio France Internationale da Johannesburg , fra il 2007 e il 2010 aveva intervistato the Others, tornati in libertà con Mandela dal 1990, senza però poter utilizzare quel materiale nei suoi reportage, perché allora sembrava che i media dovessero parlare unicamente del leader. Del processo di Rivonia non era stato fatto nessun filmato. Esisteva solo una registrazione audio su supporto analogico, rimasta a lungo “a prender polvere” negli archivi del tribunale del Sud Africa. Solo nel 2016 il francese Henry Chamoux inventò una macchina per digitalizzare, senza rovinarlo, il documento analogico. Henry ricercò , per ascoltarne insieme a lui alcune parti, proprio Champeaux, avendo trovato in Internet le sue interviste ad Ahmed Kathrada, uno degli otto imputati, indiano, figura di spicco del movimento.


Di fronte alle 256 ore registrate divenute ascoltabili, vera miniera d’oro, Nicolas ha capito che ne doveva fare un film. Essendo totalmente inesperto di regia, si è cercato un regista vero che lo affiancasse nell’impresa. Gilles Porte, il prescelto, a sua volta, ha trovato il grafico adatto. Già, perché, in assenza di riprese video, ben 40 minuti del documentario sono illustrati da Oerd van Cuijlemborg (nella foto una sua illustrazione), scelto per la capacità di dare immagine ai suoni e corpo alle vive voci del processo, giudice, accusa, avvocati e imputati. Lavorando a stretto contatto con i due fin dall’inizio, Oerd è riuscito ad unire le esigenze di Nicolas e Gilles per il film – di creare un figurativo per l’aula del tribunale, il giudice, gli avvocati e e le persone che venivano interrogate – alla sua propensione per le immagini astratte quando si è trattato di tradurre gli altri suoni del documento audio. Oerd ha fatto composizioni di grande novità e potenza, per un totale di 40 minuti. Niente a che vedere con un cartone classico. Splendida, in particolare, la narrazione della vita di Kathrada. Al bisogno, il disegno di Oerd si è fatto pura metafora, con campi bianchi e neri separati da una linea netta, a richiamare la ragione dello scontro drammatico in atto al processo.

Gilles, prima di accettare l’incarico, aveva chiesto a Nicolas se c’erano dei sopravvissuti, perché sentiva l’esigenza di intervistarli per il film, a più di 50 anni dal processo. Per fortuna erano viventi ancora in tre, di età compresa fra 87 e 93 anni. I due registi hanno cominciato il lavoro proprio filmando questi sopravvissuti, anche se non c’erano ancora finanziamenti, pressati dalla fretta di fronte all’età avanzata di questi personaggi. Le frasi con cui questi tre “Others” commentano l’ascolto delle risposte da loro stessi date al processo, insieme con le voci di allora e i disegni di Oerd, ricreano tutta l’emozione di quello storico processo. Per scelta erano sempre stati all’ombra di Mandela, considerandolo il migliore di tutti come divulgatore. Finalmente qui per la prima volta era data loro l’opportunità di comunicare il loro pensiero. Nicolas è riuscito a ritrovare, per questo film, anche due avvocati della difesa, uno dei quali era quello personale di Mandela.
«Questo, più che un documentario – dice Nicolas – è un film di Hollywood. Ne ha tutti i requisiti: l’accusa, razzista e aggressiva, è ovviamente il cattivo. Il giudice, con quella voce affaticata, crea una grande suspence perché non indovini dove vada a parare. Creano atmosfera pure le buffonate supereroiche degli avvocati. Non abbiamo dovuto inventarci nulla, era la realtà dei dialoghi a farci creare lo spettacolo». Aggiunge Gilles: «Nel nostro film, come in quelli di Hollywood, non mancano le storie d’amore, grazie a testimonianze di alcune delle compagne dei protagonisti che le hanno condivise con noi come parte della storia dei loro uomini».
Completa Oerd: «Mi auguro che faccia pensare. Questi uomini, non lo dimentichiamo, hanno combattuto per il nostro futuro. A dimenticare la storia si corre il rischio di cadere nelle stesse trappole e di fare gli stessi errori».