Non amo parlare di Satira. Preferisco farla. Non mi piace nemmeno parlare di censura. Preferisco rifiutarla. Non accettarla. Mai. E la più insidiosa e pericolosa delle censure è l’autocensura. Opportunità, buon gusto, correttezza, senso del limite… in una sola parola: conformismo. Il conformismo è, per chi fa satira, come la kryptonite verde per Superman o peggio come il congiuntivo per Di Maio, micidiale.
Nella mia produzione, le vignette che preferisco sono quelle sulle quali non sono d’accordo nemmeno io. La satira può essere: tagliente, graffiante, pesante, amara e tutti gli altri aggettivi che di solito le vengono attribuiti da chi non la fa. Per me è un gioco, proprio come quello dei bambini, a volte rischioso, spesso chiassoso, fastidioso alle orecchie degli adulti ma mai monotono e sempre ricco di fantasia. E i bambini (almeno quelli di un tempo lo erano) sono immuni al conformismo.
Potrei stilare un elenco dei tentativi di censura, dei licenziamenti ed espulsioni, delle denunce e dei processi, assoluzioni e condanne che, negli anni, questo gioco mi ha procurato. Ultima l’ossessione compulsiva di Salvini di querelarmi ogni venti minuti. Non lo farò perché è noioso e pure un po’ triste.
Non ho la vocazione né al martirio né all’autocommiserazione. Ho la vocazione all’allegria del gioco. È l’allegria in fondo quella che potenti e prepotenti temono più dell’invettiva. Il potere è cupo per definizione. L’allegria è sovversiva perché ciò che rende allegro l’animo è la Libertà. Chi coltiva ostinato l’allegria cerca la Libertà. L’agguanta, la ruba, l’addenta. La rifiuta quando gli viene concessa, una libertà autorizzata non è Libertà.
«Questo mondo non è attrezzato per l’allegria, la gioia va strappata a viva forza», diceva Majakovskij. Qualcuno potrebbe obiettare che però Majakovskij alla fine si sparò un colpo. Beh, forse anch’io lo farò se la «viva forza» un giorno mi venisse a mancare. Mi sparerò con una pistola giocattolo.
Per gioco e per allegria.