L'editoriale di Stefano Galieni è tratto da Left in edicola dal 23 novembre 2018
[su_button url="https://left.it/left-n-47-23-novembre-2018/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-47-2018-23-novembre/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]
[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]I percorsi di mobilitazione, attraversati da tante e diverse soggettività come quelle che hanno composto il grande corteo nazionale del 10 novembre scorso, continuano partendo dalla necessità di preservare la pluralità come valore. Ci saranno quindi, nei prossimi giorni, iniziative che non vedranno l’utilizzo del logo #Indivisibili, ma manifestazioni di carattere soprattutto territoriale, con diversa composizione, con obiettivi più mirati ma animate da uno spirito molto comune. Roma e Milano sono ad oggi le piazze principali. Nel capoluogo lombardo, dove da tempo sta emergendo un tessuto ampio, privo di reale e complessiva rappresentanza politica ma animato da radicale opposizione allo strapotere fascioleghismo pentastellato si è individuato il 1 dicembre come data importante per dichiarare la propria opposizione alla realizzazione del Cpr (Centro permanente per i rimpatri), promossa da Minniti e in fase di realizzazione con Salvini. Il centro di detenzione dovrebbe sorgere nella struttura di via Corelli già tristemente nota negli anni passati essendo stato inaugurato dal centro sinistra alla fine degli anni Novanta come Cpta (Centro di permanenza temporanea e assistenza) ma in realtà finalizzato a espellere gli indesiderabili dopo una privazione della libertà personale non dovuta ad un reato commesso ma al proprio essere in Italia senza documentazione. Con l’avvento di Maroni, la detenzione amministrativa in Italia perse, anche nella denominazione, gli aspetti ipocriti. I centri vennero chiamati Cie (Centri per l’identificazione e l’espulsione). Aumentarono i tempi di detenzione, le rivolte e gli abusi. Il centro di Milano balzò agli onori della cronaca perché una ragazza nigeriana che vi era reclusa denunciò il responsabile della Croce Rossa, che gestiva il centro, per un tentativo di stupro. Si chiamava Joyce, e dopo tentativi di farla tacere, supportata soprattutto da attiviste di tutta Italia, venne creduta. Si giunse a processo e in primo grado il funzionario venne condannato, in appello la sentenza venne ribaltata ma che in quel luogo si consumassero violenze era considerato come dato acquisito. Nel 2012 il centro venne chiuso come Cie e riconvertito in centro di accoglienza. Ne nacque, con tutte le contraddizioni, una esperienza nuova per Milano. Si svilupparono anche attività sociali e si realizzò anche una squadra di calcio fra gli ospiti. Ora Salvini e Di Maio intendono far tornare ai “fasti antichi” la struttura, nel dl in corso di approvazione si prevede anche che in questi centri, in attesa del rimpatrio, si possa essere rinchiusi anche fino a 180 giorni. Sei mesi di vita perché si è colpevoli di esistere nel posto sbagliato. La rete di organizzazioni, forze sociali e politiche che promuove la manifestazione non parla solo di presente: «Vent’anni dopo, è doveroso chiedersi che frutti ha portato la scelta di una politica di chiusura, basata sulla finzione della gestione dei flussi migratori e il controllo poliziesco delle persone migranti: ha davvero messo sotto controllo le migrazioni? Aumentato il benessere degli e delle abitanti di questo paese? Reso più giusta e salda la costruzione europea? Fermato la minaccia del terrorismo o l’emergere del razzismo? Sono stati invece vent’anni di trattamenti inumani e degradanti. Questo lo attestano anche le due condanne della Corte europea per i diritti umani e la recentissima denuncia del garante per i detenuti, nonché le rivolte e i gesti di protesta spesso estremi, come ad esempio le bocche cucite col fil di ferro al Cie di Roma». Per gli organizzatori di questa mobilitazione a carattere regionale, è ora di parlare di fallimento complessivo delle politiche sull’immigrazione di cui i Cpr sono solo la punta dell’iceberg di un insieme di leggi liberticide, oggi contro gli immigrati ma anche contro gli italiani, di cui il dl Salvini (che per quella data sarà probabilmente già legge) si pone in perfetta continuità. Una mobilitazione partendo dall’apice di queste contraddizioni sarà un buon termometro per raccogliere le istanze democratiche lombarde (l’appuntamento per il corteo di Milano è il 1 dicembre alle 14.30 in piazza Piola).
Lo stesso giorno e più o meno dalla stessa ora, con partenza da piazza della Repubblica, la capitale sarà attraversata dal corteo indetto dalla sigla “Sei 1 di noi”. È stato lanciata una lettera / appello, firmata da circa 300 comuni cittadini e cittadine che, partendo dalla propria condizione sociale, lavorativa, personale, si va interrogando su questioni profondamente politiche non compiutamente rappresentate. Il diritto alla casa, a non essere dominati dalle mafie, all’accoglienza, a non veder messe perennemente a rischio conquiste realizzate permettendo la crescita delle diseguaglianze sociali, ha portato i proponenti a realizzare in vari quartieri della città incontri, iniziative, appuntamenti a carattere tematico.
Per evidenziare gli elementi di criticità ma anche per avanzare proprie proposte, elementi di visione di una società diversa fondata sull’universalità dell’accesso ai diritti. Queste persone si ritroveranno in corteo non solo contro il già citato dl Salvini ma contro l’insieme di produzione legislativa e culturale che hanno fatto crescere in maniera esponenziale, in Italia, diseguaglianze, sfruttamento, corruzione, criminalità organizzata, razzismo. Forse una stagione di mobilitazioni si è aperta e ci sono, ad avviso di chi scrive, le condizioni per cui almeno una parte delle inutili divisioni a sinistra che hanno spesso indebolito qualsiasi proposta, possano venire meno.