Una coalizione di studenti della Ceu, Università centrale europea, della Corvinus e dell’Università Eötvös Loránd sta occupando da sabato scorso, e fino al primo dicembre, la piazza del parlamento a Budapest per protestare contro gli attacchi del governo Orban alla libertà accademica.
Per una settimana, Kossuth Tér si trasforma in Szabad Egyetem (Free University) che ospita lezioni, conferenze pubbliche, spettacoli e dibattiti. L’occupazione è iniziata dopo la Marcia per la libertà accademica del 24 novembre, una settimana prima della scadenza dell’1 dicembre per il governo ungherese per firmare l’accordo che avrebbe consentito al Ceu di rimanere in Ungheria. A causa delle modifiche alla legge ungherese sull’istruzione superiore, comunemente nota come Lex Ceu, l’università non è in grado di operare legalmente in Ungheria come istituzione accreditata libera dagli Stati Uniti. Anche se la Ceu ha soddisfatto tutte le condizioni stabilite dalla cosiddetta Lex Ceu, il governo ha bloccato la firma dell’accordo per oltre un anno. Come ha annunciato il rettore Michael Ignatieff in ottobre, se l’università non raggiunge un accordo con il governo, dovrà spostare a Vienna i suoi programmi accreditati negli Usa, dal prossimo anno. Il fatto è che Ceu è l’università fondata da Soros, considerato nemico numero uno della destra populista Ue (e anche da qualche nostalgico fuori tempo della Cortina di ferro) per le sue attività di promozione di diritti umani e per la sua ebraicità. Soros, controversa figura di magnate e filantropo, è l’ossessione dei sovranisti europei che detestano la sua Open society foundation, una rete di fondazioni lanciata che finanzia attività di supporto a sanità, diritti sociali e Ong. La Ceu nel suo statuto afferma di promuovere i valori della «società aperta e del pensiero critico», con un particolare focus sulle scienze sociali e ambiti di ricerca a cui il governo Orbán è allergico, dall’indipendenza della didattica ai gender studies.
«I tentativi di espellere la Ceu sono solo una parte del più ampio contesto di minacce alla libertà accademica e all’autonomia», si legge sul sito di Krytyka Polityczna (politicalcritique.org/). «Da un lato, l’accademia ungherese affronta attacchi politici che non hanno precedenti nell’Unione europea, incluso il divieto per i gender studies, gli studi di genere, e con l’imposizione di regolamenti che aumentano il controllo statale sull’accademia delle scienze ungherese – scrive Jakub Gawkowski, critico d’arte e giornalista di Varsavia – dall’altro, il governo di Orbán sta introducendo spietate riforme neo-liberiste, come la privatizzazione dell’Università Corvinus. «Da quando misuriamo le conoscenze in termini di denaro? Dal momento che gli studenti sono diventati prodotti e le aziende sono gli acquirenti, secondo il loro interesse che sono definite le opportunità accademiche. Qual è lo scopo dell’educazione? Droidi che fanno profitto o persone che pensano?», chiedeva Via Molnár, una studentessa dal futuro privatizzato alla Corvinus, durante la protesta di sabato scorso.
«Le università devono essere criticate, ma non attraverso interdizioni, o mettendo al bando professori e studenti, non con la censura, e non con la cancellazione» – ha detto il filosofo e intellettuale Gáspár Miklós Tamás dal palco sulla piazza Kossuth. »La causa dell’educazione non è solo la causa di professori e studenti, è la causa dell’intera comunità politica che non può essere libera senza un’educazione libera».
Gli speaker delle manifestazioni, provenienti dall’Accademia delle scienze ungherese, Ceu, Elte e Corvinus, hanno sottolineato la necessità di solidarietà e alleanza tra istituzioni e persone. Solidarietà non solo con studenti e accademici, ma anche con rifugiati e lavoratori. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante di fronte alla “legge sul lavoro degli schiavi” proposta da Fidesz (il partito al potere, populista e cristiano, aderente al Ppe), che consente ai datori di lavoro di liberalizzare lo straordinario. «Vivere in una bolla è conveniente, ma le bolle scoppiano. Invece di strategie individuali di evitamento, costruiamo alleanze e organizziamoci», chiede Éva Bognár, dipendente di Ceu. Lo stesso problema è stato affrontato da Imre Szijártó, studente e uno degli organizzatori della protesta: «Questo movimento è molto più della Ceu o addirittura dell’istruzione. La nostra lotta è parte della lotta per l’anima dell’Ungheria. Quando l’attacco al Ceu è iniziato nel 2017 – ha ricordato Szijártó – la società ungherese si è schierata solidale con la comunità universitaria. Ora è giunto il momento per Ceu di solidarizzare con la società ungherese».
Gawkowski ha parlato con gli studenti che partecipano a “Szabad Egyetem”. Levente di scienze politiche: «Quello che vedo è che il governo rende continuamente l’istruzione superiore meno accessibile e disponibile. In questo modo, vedo la situazione dei lavoratori e degli studenti simili. Il governo non sta solo privatizzando e chiudendo le università, ma, ad esempio, allo stesso tempo sta raddoppiando il numero delle possibili ore di straordinario. La loro politica avvantaggia il mercato e le grandi aziende rispetto alla società. Occupando la piazza Kossuth e costruendo uno Szabad Egyetem, possiamo inviare un messaggio forte: che meritiamo molto di più».
Miriam di sociologia: «Trovo molto allarmante l’antisemitismo, l’anti-cosmopolitismo e l’anti-intellettualismo che il governo sta usando per aumentare il suo potere. Mi rende felice che gli studenti del Ceu abbiano deciso di non organizzare la festa di addio, ma di creare una coalizione con altre università e organismi scientifici minacciati dalle azioni del governo. Esiste già una solidarietà internazionale con le università, ma credo che la più grande sfida ora sia per gli intellettuali e gli operai dell’Ungheria a difendersi a vicenda. Parallelamente a ciò che il governo vuole fare con il mondo accademico, i lavoratori saranno colpiti dalla nuova legge sul lavoro che rende l’orario di lavoro “più flessibile”. E questo potrebbe ricordarci molto della Francia nel 1968. Quindi vediamo cosa succede dopo».
Iveta, anche lei di storia: «Mi unisco alla protesta e occuperò Kossuth Tér, perché ritengo che sostenere la libertà accademica sia la scelta giusta. Se falliremo nella lotta per l’autonomia del mondo accademico, falliremo nella libertà di parola nei nostri paesi. E dal momento che la libertà accademica riguarda tutti, credo che non solo gli studenti e docenti, ma ogni cittadino dovrebbe battersi per le università ungheresi. Se ci arrendiamo, rinunceremo dappertutto». Adrien, dottoranda in gender studies: «Ciò che sta accadendo in Ungheria riguarda tutti in Europa e fuori. Deve esserci un momento in cui difendiamo il nostro campo contro questo sistema che cerca di imporre la sua ideologia conservatrice nazionalista sull’intera società attraverso il controllo dei media, enormi campagne di propaganda xenofoba e attacchi all’istruzione e alla ricerca. Sono particolarmente preoccupato per il modo in cui Orbán sta cercando di liberarsi non solo delle voci critiche nelle università, come il divieto degli studi di genere, imponendo il suo autoritarismo patriarcale, ma anche di trasformare le università in macchine private per fare soldi per riprodurre l’élite. Temo che le future generazioni di ungheresi non avranno i soldi per proseguire gli studi e non avranno la possibilità di tenere dei corsi in discussione sull’ordine sociale esistente».
Endre, un’altra studentessa di sociologia: «Sono arrabbiata perché una grande comunità intellettuale, un’università piena di persone vivaci, viene chiusa per ragioni politiche nude e crude. Lo trovo inaccettabile, ma penso anche che buttare fuori Ceu sia solo la punta dell’iceberg. Viktor Orbán è riuscito a costruire una mostruosa macchina di potere negli ultimi otto anni: una classe politica arrogante sostenuta da una fedele borghesia nazionale e da cinici strateghi politici pensa di poter fare qualsiasi cosa di fronte alle proteste frammentate, divise ed esauste della società ungherese. Non vogliamo arrenderci senza combattere e speriamo che altre vittime delle politiche di Fidesz si uniranno a noi. Dobbiamo renderci conto che siamo tutti sulla stessa barca».
Poco prima di “occupy Kossuth”, il 18 novembre, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz aveva ricevuto George Soros, l’investitore americano, per un colloquio in merito all’insediamento a Vienna dell’università Ceu, fondata proprio da Soros nel 1991. Lo ha riferito lo stesso cancelliere dal suo account Twitter. Il tweet di Kurz è stato poi seguito da un’ondata di insulti a sfondo razzista e antisemita. Kurz, per la cronaca, è leader di Österreichische Volkspartei, Övp, partito aderente al Ppe, come Fidesz, come gli italiani Udc, Forza Italia e Alternativa popolare (Alfano). Il governo Kurz, sostenuto da FpÖ, partito di estrema destra, non è meno tenero di Orban nei confronti della libertà di movimento delle persone e dei diritti dei rifugiati.