Ruido de sables, alla lettera “tintinnar di scabole”. Il comandante in capo dell’esercito cileno, generale Ricardo Martinez, usa – probabilmente senza saperlo – la stessa metafora che mezzo secolo prima, in Italia, era servita al leader socialista Pietro Nenni per denunciare gli armeggi di ambienti più o meno deviati di Dc e carabinieri contro le libertà democratiche.
Giurando che oggi non ci sarebbe alcun ruido de sables, Martinez chiede ancora scusa per aver lasciato trapelare che alcuni militari vendono armi a criminali e narcotrafficanti. Proprio oggi il generale s’è presentato per questo di fronte alla commissione difesa della Camera dei deputati provando a escludere che ci siano fronde, dopo il conclave segreto di quasi mille militari.
Tutto ciò a pochi giorni dall’omicidio di un giovane mapuche, Camilo Catrillanca, mentre era alla guida del suo trattore, dopo una violenta irruzione dei militari in una comunità nel municipio di Ercilla, a sud.
«Abbiamo informazioni che ufficiali e sottufficiali siano implicati nell’acquisto di armi attraverso canali legali, che poi fingono di averle smarrite, ma in realtà ciò che stanno facendo è venderli a gruppi di spacciatori di droga, criminali», ha detto Martinez ai suoi uomini non sapendo di essere registrato. Martinez s’è mostrato piuttosto irritato per la permeabilità delle mura dell’aula magna della scuola militare, più che per la credibilità di un’istituzione coinvolta anche in altri casi di truffe collegate ai fondi della legge per il rame (ley reservada de cobre che assegna ai militari il 10% dei proventi dallo sfruttamento minerario), il “Milicogate” (la cresta sui rimborsi di viaggio e il viatico), il caso del Fam (fondo per l’aiuto reciproco) per le quali ci sono state delle condanne e la destituzione di una ventina di generali, ma che riguarderebbe, secondo il loquace generale, anche altre istituzioni dello Stato.
Sono mesi terribili, in Cile, per la credibilità delle due “istituzioni di fiducia”, Forze Armate, appunto, e chiesa cattolica travolta dallo scandalo delle centinaia di abusi su minori coperti dalla gerarchia.
«Nella riunione tenutasi con il ministro della Difesa, mi è stato fatto notare che le mie parole sono state imprudenti, per cui me ne assumo tutta la responsabilità e porgo le mie scuse se alcune delle mie espressioni sono risultate di questo stampo», aveva detto Martinez, in una veloce dichiarazione ai giornalisti, senza rispondere alle domande.
I fatti: martedì 20 novembre, il generale ha convocato una riunione segreta della guarnigione della regione metropolitana di Santiago promettendo di parlare “senza eufemismi” di corruzione, divisioni interne e persino dei legami inediti di alcuni degli uomini sotto il suo comando con il crimine organizzato. La stranezza è che nessuno dei temi all’ordine del giorno fosse strettamente militare e giustificasse la riservatezza. Uno si riferiva alla collusione coi narcos, e l’altro era direttamente corporativo: la difesa “con le unghie e i denti”, «dientes y muelas», dei privilegi pensionistici degli alti papaveri con le stellette. Almeno 3956 alti ufficiali arrivano a percepire anche sette milioni di pesos al mese (più di 9.000 euro) in un Paese in cui lo stipendio medio è di 650 euro, ma la maggior parte degli stipendi si aggira sui 470 euro per 47 ore settimanali. E altre 327 divise in pensione percepiscono legalmente da due a quattro pensioni simultanee, cosa impossibile per qualsiasi altro lavoratore.
Il giorno dopo El Mercurio, quotidiano della destra conservatrice, ha pubblicato la notizia con una breve allusione al suo contenuto. Ma se tre giorni dopo, venerdì 23, il ministro della difesa Espina è venuto a conoscenza del conclave clandestino è stato grazie a un giornalista del settimanale satirico di sinistra The Clinic (in cui Left s’è imbattuto anche nell’inchiesta sui preti pedofili) che ha pubblicato la registrazione delle parole di Martínez complicando la vita al generale, al governo e alla destra.
Il Cile si conferma perciò un paese a democrazia apparente (anche ieri una manifestazione è stata repressa con violenza). «In primo luogo, il comandante in capo ha agito dietro al potere civile, al quale deve il rispetto e l’obbedienza più assoluti – ha scritto su El Clarin Haroldo Quinteros, scrittore e docente imprigionato da Pinochet – il generale non ha informato il governo delle collusioni tra esercito e narcos, ma lo ha raccontato alla guarnigione di Santiago. In secondo luogo, è molto probabile che a questo incontro segreto sia stato invitato a El Mercurio, il referente numero 1 della destra del paese, e non il ministro della Difesa, come dovrebbe essere. Ringraziamo dunque questo “insolente” settimanale per averci informato di questo scandalo».
La vicenda dell’omicidio di Catrillanca è costata finora il posto a Luis Mayol, avvocato e imprenditore di estrema destra, ricco governatore della regione di Araucania. Un gesto con cui il governo di Sebastian Pinera ha provato a disinnescare le critiche che segnalano come responsabili politici della vicenda anche il ministro degli Interni, il “pinochetista” Andrés Chadwick, dal quale dipendono i carabinieri cileni. Mayol, uomo d’affari ed ex ministro dell’Agricoltura del primo governo di Piñera (2010-2014), ha accusato il giovane mapuche Catrillanca di coinvolgimento nel furto di tre automobili a Ercilla, 670 chilometri a sud di Santiago. Tuttavia, con il passare delle ore, la versione della polizia è stata smentita, ma intanto era già stata diffusa dal ministro della Difesa anche se lo stesso giorno dell’omicidio la Commissione per i diritti umani ha avuto accesso alla dichiarazione di un adolescente detenuto che ha assistito al crimine. Il ragazzo è il testimone che fin dall’inizio ha contraddetto la versione dei Carabineros consentendo le prime indagini. I Carabineros, per bocca del loro direttore, il generale Hermes Soto, hanno sostenuto che la guardia incaricata di procedere alla registrazione, presumibilmente coinvolto nell’omicidio, ha rotto la registrazione dell’evento per salvare il suo onore personale, perché il nastro conteneva scene private di natura sessuale. «A questo punto, il ridicolo non può essere più grande», commenta ancora Quinteros.
Il presidente Piñera ha anche cercato di negare l’esistenza del “Comando Jungla”, il reparto protagonista dell’omicidio del giovane mapuche. Però di quel reparto, che si chiama così per via di un costosissimo corso antiguerriglia che viene effettuato in Colombia, esistono prove schiaccianti conosciute in Cile grazie a un altro sito indipendente, El Dynamo.
«Il “Comando jungla” si è addestrato lì, grazie ad un accordo tra il governo cileno e quello colombiano, simile a quello che ha permesso l’addestramento anche di truppe italiane nella selva colombiana. Un addestramento anti-guerriglia e anti-narcotrafficanti, che non ha nulla a che vedere con il rapporto necessario di dialogo con un movimento sociale di un popolo originario, come i mapuche, considerati come un vero e proprio “corpo estraneo”, alla stregua dei Palestinesi in Israele», spiegano a Left dal dipartimento Esteri di Rifondazione comunista.
Questo grave omicidio avvenuto nella zona dell’Araucania (Wallmapu) si aggiunge ad una escalation di violenza e di militarizzazione dell’azione repressive, sia da parte delle cosiddette “forze dell’ordine”, che di coloni civili, contro gli abitanti originari della zona, il popolo mapuche.
In realtà, Piñera, con le dimissioni di Mayol cerca di salvare il cosiddetto “Piano Araucana”, uno dei pilastri del governo per “pacificare” la regione. Secondo le più recenti stime i mapuche dovrebbero attestarsi sul milione e 700mila persone, di cui 1 milione e 500mila in Cile e 205mila nella Patogonia argentina. Essi rappresentano inoltre circa l’80% delle polazione originarie del Cile, il 9% della popolazione complessiva. «In continuità con i metodi della dittatura di Pinochet – dice ancora il dipartimento esteri Prc – il governo di destra di Sebastian Piñera reprime anche grazie ad una “Legge antiterrorista”, che criminalizza l’opposizione, dà ampia discrezionalità all’azione degli agenti e ne garantisce una sfacciata impunità. Prima contro l’invasione spagnola, poi contro lo Stato colonizzatore cileno, il popolo mapuche lotta da sempre per la difesa dei suoi diritti: in particolare si batte per il diritto alla terra, violato grazie ad una politica di “pacificazione” molto simile a quella applicate contro i cosiddetti “indiani d’America” nel “far west”, e i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti».