«Sono 120 le convivenze realizzate, 200 gli attivisti e 18 i gruppi territoriali attivi in altrettante città italiane». Questi i dati più significativi dei primi tre anni di lavoro di Refugees Welcome Italia, l’associazione che dal 2015 promuove un modello di accoglienza in famiglia, per rifugiati e titolari di altra forma di protezione, basato sul coinvolgimento diretto dei cittadini. A tre anni dalla sua fondazione, Refugees Welcome Italia ha presentato a Roma, il primo rapporto delle sue attività e le linee guida sull’accoglienza in famiglia allo scopo di sviluppare sempre più questa modalità di accoglienza e di inclusione sociale. Tra il 2016 ed il 2018, RWI ha realizzato 120 convivenze in diverse parti d’Italia: 31 sono attualmente in corso, di cui 8 sono diventate a tempo indeterminato. In 7 casi, dopo una prima convivenza, la persona accolta è stata inserita in una seconda famiglia. Le regioni che hanno accolto di più sono il Lazio e la Lombardia, mentre la città più ospitale è stata Roma, con ben 30 convivenze attivate. Le persone accolte sono per la maggior parte titolari di protezione umanitaria (58%), seguiti da rifugiati (20%) e titolari di protezione sussidiaria (16%): mediamente erano in Italia da quasi 3 anni al momento dell’inserimento in famiglia. Le famiglie “accoglienti” sono principalmente coppie con figli (30% delle convivenze), seguite da persone singole (28% dei casi), da coppie senza figli (23%) e da coppie con figli adulti fuori casa (11%). Il 2018 è stato anche l’anno che ha visto un boom di iscrizioni alla piattaforma come risposta alla politica dei porti chiusi: circa 150 famiglie hanno dato disponibilità ad ospitare un rifugiato nei mesi di giugno e luglio. Nei primi mesi del 2019 partiranno nuovi gruppi locali in Puglia, Campania, Umbria, Calabria, portando a 15 il numero di regioni in cui l’associazione è presente. Fra le centoventi convivenze realizzate dall’associazione, c’è anche quella di Laura Pinzani, suo figlio Riccardo - romani - e Sahal Omar, giovane somalo. «Abbiamo ricevuto tanto e riceviamo tanto da lui» racconta Laura. «Culturalmente, per noi è un arricchimento. Sahal gioca alla playstation con mio figlio, parlano, si scambiano esperienze e racconti di vita. Noi gli abbiamo dato la spensieratezza: è qualcosa che molti di questi ragazzi non hanno mai conosciuto. L’accoglienza in famiglia è un modo per permettere a Sahal, e a tanti altri come lui, di non vivere più nell’emergenza ma di pianificare». RWI propone anche una riflessione pubblica su come sia possibile promuovere su larga scala percorsi di inclusione basati su autonomia, partecipazione delle comunità, rafforzamento dei legami sociali, e come la politica possa trarre ispirazione da questo tipo di esperienze, nate dal basso, per ripensare gli attuali sistemi di accoglienza e di welfare. Da qui l’idea delle linee guida, che sono il primo tentativo in Italia di descrivere, a livello operativo, l’accoglienza in famiglia. Il documento spiega, passo dopo passo, la filosofia e la metodologia di lavoro dell’associazione: come si selezionano le famiglie, i rifugiati e gli attivisti; come si individua l’abbinamento fra rifugiati e famiglie; come si seguono e monitorano le convivenze. Il testo fornisce anche un toolkit di strumenti pratici da utilizzare in ogni fase del processo. Altro aspetto innovativo delle linee guida è la possibilità di applicarle anche al di fuori dell’accoglienza dei rifugiati: il metodo di lavoro descritto, pur essendo focalizzato sul target prioritario dell’associazione, i titolari di protezione, è potenzialmente replicabile in altri contesti: convivenze solidali, madri sole, padri separati, persone con bisogni complementari. Le linee guida rappresentano una doppia sfida: la prima alle istituzioni che hanno la governance delle politiche di accoglienza e del welfare, senza le quali nessuna pratica può essere messa a sistema, la seconda al variegato mondo del Terzo settore spiega Fabiana Musicco, presidente dell’associazione: «Alle istituzioni e ai nostri partner del terzo settore chiediamo di leggere queste pagine, studiarle, copiarle, criticarle, riadattarle: l’accoglienza in famiglia non è e non vuol essere un’esclusiva di RWI, ma un modello da reinventare costantemente alla luce dei bisogni, delle esigenze e dei desiderata dei territori dove le diverse realtà lavorano. Per questo motivo, le linee guida saranno presto disponibili sul nostro sito refugees-welcome.it, per favorire la creazione di una community di addetti ai lavori, volontari, associazioni e gruppi informali che vorranno cimentarsi con questa esperienza».

«Sono 120 le convivenze realizzate, 200 gli attivisti e 18 i gruppi territoriali attivi in altrettante città italiane». Questi i dati più significativi dei primi tre anni di lavoro di Refugees Welcome Italia, l’associazione che dal 2015 promuove un modello di accoglienza in famiglia, per rifugiati e titolari di altra forma di protezione, basato sul coinvolgimento diretto dei cittadini. A tre anni dalla sua fondazione, Refugees Welcome Italia ha presentato a Roma, il primo rapporto delle sue attività e le linee guida sull’accoglienza in famiglia allo scopo di sviluppare sempre più questa modalità di accoglienza e di inclusione sociale.

Tra il 2016 ed il 2018, RWI ha realizzato 120 convivenze in diverse parti d’Italia: 31 sono attualmente in corso, di cui 8 sono diventate a tempo indeterminato. In 7 casi, dopo una prima convivenza, la persona accolta è stata inserita in una seconda famiglia. Le regioni che hanno accolto di più sono il Lazio e la Lombardia, mentre la città più ospitale è stata Roma, con ben 30 convivenze attivate. Le persone accolte sono per la maggior parte titolari di protezione umanitaria (58%), seguiti da rifugiati (20%) e titolari di protezione sussidiaria (16%): mediamente erano in Italia da quasi 3 anni al momento dell’inserimento in famiglia. Le famiglie “accoglienti” sono principalmente coppie con figli (30% delle convivenze), seguite da persone singole (28% dei casi), da coppie senza figli (23%) e da coppie con figli adulti fuori casa (11%). Il 2018 è stato anche l’anno che ha visto un boom di iscrizioni alla piattaforma come risposta alla politica dei porti chiusi: circa 150 famiglie hanno dato disponibilità ad ospitare un rifugiato nei mesi di giugno e luglio. Nei primi mesi del 2019 partiranno nuovi gruppi locali in Puglia, Campania, Umbria, Calabria, portando a 15 il numero di regioni in cui l’associazione è presente.

Fra le centoventi convivenze realizzate dall’associazione, c’è anche quella di Laura Pinzani, suo figlio Riccardo – romani – e Sahal Omar, giovane somalo. «Abbiamo ricevuto tanto e riceviamo tanto da lui» racconta Laura. «Culturalmente, per noi è un arricchimento. Sahal gioca alla playstation con mio figlio, parlano, si scambiano esperienze e racconti di vita. Noi gli abbiamo dato la spensieratezza: è qualcosa che molti di questi ragazzi non hanno mai conosciuto. L’accoglienza in famiglia è un modo per permettere a Sahal, e a tanti altri come lui, di non vivere più nell’emergenza ma di pianificare».

RWI propone anche una riflessione pubblica su come sia possibile promuovere su larga scala percorsi di inclusione basati su autonomia, partecipazione delle comunità, rafforzamento dei legami sociali, e come la politica possa trarre ispirazione da questo tipo di esperienze, nate dal basso, per ripensare gli attuali sistemi di accoglienza e di welfare. Da qui l’idea delle linee guida, che sono il primo tentativo in Italia di descrivere, a livello operativo, l’accoglienza in famiglia. Il documento spiega, passo dopo passo, la filosofia e la metodologia di lavoro dell’associazione: come si selezionano le famiglie, i rifugiati e gli attivisti; come si individua l’abbinamento fra rifugiati e famiglie; come si seguono e monitorano le convivenze. Il testo fornisce anche un toolkit di strumenti pratici da utilizzare in ogni fase del processo. Altro aspetto innovativo delle linee guida è la possibilità di applicarle anche al di fuori dell’accoglienza dei rifugiati: il metodo di lavoro descritto, pur essendo focalizzato sul target prioritario dell’associazione, i titolari di protezione, è potenzialmente replicabile in altri contesti: convivenze solidali, madri sole, padri separati, persone con bisogni complementari.

Le linee guida rappresentano una doppia sfida: la prima alle istituzioni che hanno la governance delle politiche di accoglienza e del welfare, senza le quali nessuna pratica può essere messa a sistema, la seconda al variegato mondo del Terzo settore spiega Fabiana Musicco, presidente dell’associazione: «Alle istituzioni e ai nostri partner del terzo settore chiediamo di leggere queste pagine, studiarle, copiarle, criticarle, riadattarle: l’accoglienza in famiglia non è e non vuol essere un’esclusiva di RWI, ma un modello da reinventare costantemente alla luce dei bisogni, delle esigenze e dei desiderata dei territori dove le diverse realtà lavorano. Per questo motivo, le linee guida saranno presto disponibili sul nostro sito refugees-welcome.it, per favorire la creazione di una community di addetti ai lavori, volontari, associazioni e gruppi informali che vorranno cimentarsi con questa esperienza».