Mentre rimane la minaccia di Daesh ecco come potrebbero cambiare gli equilibri politici in Medio Oriente dopo l'annuncio di Trump. Che fa un regalo a Erdogan

«Dopo storiche vittorie contro l’Isis, è tempo di riportare i nostri eccezionali ragazzi a casa». Così il 19 dicembre Donald Trump ha annunciato via Twitter il ritiro delle truppe Usa dalla Siria.
Una mossa a sorpresa che ha paralizzato per una giornata la Casa Bianca, lasciando a bocca aperta anche storici sostenitori di Trump. Il senatore Lindsey Graham si è dichiarato “preso alla sprovvista”, aderendo poi all’iniziativa di altri cinque senatori di scrivere una lettera al presidente in cui viene chiesto di riconsiderare le sue posizioni. Il ritiro delle truppe dalla Siria rappresenterebbe un grave colpo per i curdi delle Forze democratiche Siriane. L’Sdf ha avuto un ruolo chiave, insieme ai combattenti curdo-iracheni, nella lotta contro Daesh portata avanti ufficialmente dagli Usa e da altri Paesi occidentali. Grazie all’impegno della coalizione a guida Sdf, lo Stato Islamico ha perso più del 99% del territorio che controllava inizialmente. Gli analisti commentano il ritiro statunitense parlando di abbandono nei confronti dei curdi, alleati-chiave nel territorio conteso della Siria.

Asli Aydintasbas, giornalista turca e membro anziano del Consiglio europeo per gli Affari esteri, ha commentato dicendo che gli Stati Uniti stanno compiendo, in questo modo, un altro storico tradimento nei confronti dei curdi.
Non solo, infatti, Daesh non è stato affatto battuto, ma abbandonare i curdi a sé stessi rappresenta un grosso regalo alla Turchia di Erdogan, oltre che a Russia e Iran. Nonostante Trump neghi le proprie responsabilità, dichiarando che «gli Stati Uniti non vogliono essere il poliziotto del Medioriente», il mantenimento degli equilibri politici è da sempre una prerogativa irrinunciabile degli Stati Uniti. La guerra contro lo Stato Islamico è solo una delle chiavi di lettura che si possono dare del conflitto portato avanti in Medio Oriente. È innegabile infatti che sia in atto anche un tentativo di ridisegnare lo scacchiere della zona. Ritirandosi prima che una soluzione politica stabile sia stata definita per l’area, Trump lascia campo libero ai suoi avversari nella spartizione delle aree di influenza. La Russia ha già iniziato a riempire i vuoti lasciati dai precedenti ritiri delle forze occidentali, con la speranza di recuperare quanto perso dopo la fine dell’Unione Sovietica. Putin ha accolto molto favorevolmente l’annuncio di Trump, dicendo che si aspetta di vederne presto i frutti concreti.

Con il ritiro delle truppe statunitensi, la bilancia del potere nell’area penderà tutta verso il regime di Bashar al Assad e dei suoi sostenitori, gli sciiti della Guardia rivoluzionaria iraniana e i guerriglieri Hezbollah libanesi. In più, l’assenza Usa andrebbe a indebolire l’area nordest della Siria, lasciando soli i curdi nel tentativo di resistere agli attacchi turchi. Erdogan non ha mai fatto mistero di voler invadere la Siria passando proprio da quel confine, ufficialmente con lo scopo di combattere l’Sdf, che considera una forza terroristica poiché derivato del Pkk. La lotta interna con la Turchia che ne risulterebbe avrebbe come conseguenza quella di richiamare al Nord le truppe curde impegnate invece nell’area sudest, quella dove Daesh controlla gli ultimi territori che gli sono rimasti. Lo Stato Islamico non è infatti stato battuto come sostiene Trump: mercoledì un bombardamento su Raqqa che ha ucciso un soldato curdo è stato rivendicato proprio dalle forze dell’Isis, che ammontano ancora a svariate migliaia. Nonostante non si sappia quanto Daesh sia effettivamente in grado di rialzare la testa dopo la partenza dei 2000 soldati americani, il rischio c’è.

Lasciare i curdi al proprio destino comprometterebbe anche tutte le future operazioni in Medio Oriente, negando agli Stati Uniti la possibilità di guadagnarsi la fiducia dei combattenti locali in aree critiche come Yemen, Somalia e Afghanistan. L’unica possibilità rimasta all’Sdf è tentare un nuovo accordo con il regime di Damasco, offrendo appoggio al governo in cambio di alcune concessioni di autonomia nei propri territori. Essere costretti a stringere un patto con Assad rappresenterebbe un grosso fallimento per l’unica forza che ha tentato di istaurare un vero regime democratico in Medio Oriente, sforzi che sembrano non essergli stati riconosciuti dal loro più forte alleato occidentale. Subito forti sono state le critiche provenienti dall’Europa. Germania e Gran Bretagna si sono dichiarate contrarie alla scelta di Trump, non considerando Daesh una forza ancora del tutto sconfitta. La ministra francese per gli Affari esteri Nathalie Loiseau ha annunciato che il suo Paese resterà in Siria; il terrorismo non è stato debellato, come ha dimostrato l’attentato a Strasburgo.
Posizioni molto critiche anche dall’Italia, dove Giovanni Paglia di Sinistra Italiana ha dichiarato: «La decisione di Trump di ritirare i soldati Usa dalla Siria orientale, aprendo la strada all’offensiva turca contro i curdi, è un vero e proprio crimine di guerra. L’Ue, l’Italia, noi tutti dovremmo intervenire in difesa di chi ha sconfitto l’Isis e costruito una vera esperienza di democrazia nel Medio Oriente».
Per ora Donald Trump rimane sulla sua linea, annunciando anche un ulteriore ritiro di truppe, questa volta dall’Afghanistan. Sempre forti le ostilità a Washington, il cui emblema sono state le dimissioni del Segretario della Difesa Jim Mattis. Forse i curdi hanno ancora qualche alleato sul suolo statunitense.