Erdogan pronto ad attaccare i curdi, gli Usa che se ne vanno dalla Siria, Israele più vicino ai Paesi arabi sunniti contro il comune nemico iraniano, l’Arabia Saudita alle prese con l’omicidio Khashoggi e la guerra in Yemen. Il 2019 sarà un anno di tante svolte. In peggio

«La guerra è finita. Rimangono poche sacche di conflitto, compresa Idlib, ma lì c’è un cessate il fuoco negoziato». Amin Awad è il direttore dell’Unhcr per Medio Oriente e Nord Africa ed è un uomo ottimista. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, il 2019 sarà l’anno del rientro a casa di 250mila profughi siriani. Un quarto di milione su 5,6 milioni di rifugiati totali: l’ottimismo si scontra con i numeri. Ma si scontra anche con l’ennesima guerra, pronta a partire.
Se Idlib resta uno scontro cristalizzato, i venti di guerra soffiano a nord, nella curda Rojava. Da lì la gente scappa già, da mesi. Solo il cantone di Afrin, estremo nord-ovest della Siria, ha perduto 300mila persone, cacciate dall’occupazione turca che le ha sostituite con miliziani islamisti sunniti e le loro famiglie. Ora quell’occupazione intende allargarsi, oltre l’est dell’Eufrate.
Al presidente Putin la luce verde l’ha appena accesa la Casa bianca di Trump: il presidente ha annunciato il ritiro dei marines Usa dalla Siria e dalle basi in Rojava. Senza più il timore di un confronto militare con gli Stati Uniti, la Turchia aprirà il 2019 – con probabilità – con una nuova operazione militare da Afrin fino al nord dell’Iraq. Per stanare, dalle montagne di Qandil, la leadership del Pkk.
Erdogan ha bisogno di segnare punti dopo un 2018 devastante: il crollo della lira ha provocato una fuga di capitali e investimenti, una crisi economica che covava sotto la cenere di una campagna decennale di privatizzazione selvaggia e grandi opere appaltate al circolo familistico del presidente. Al 10 dicembre 2018, secondo il Financial Times, l’inflazione è al 25%, l’economia si è contratta del 5,3% e le importazioni sono calate dai 21 miliardi di dollari di luglio a 16 miliardi. Moody’s prevede un’ulteriore contrazione del 2% nel 2019, mentre i tassi di interesse per prestiti bancari restano stellari, al 30%. È con questo fardello che l’Akp di Erdogan si presenta alle elezioni amministrative del 31 marzo.
A peggiorare la situazione è…

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola dal 4 gennaio 2019


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