In un arco di tempo relativamente breve stiamo assorbendo un cambiamento epocale riguardante le nostre modalità di comunicare, sia con singole persone o con la collettività, di sperimentare nuovi percorsi intellettuali e acquisire nuove conoscenze. Tutto questo grazie alla rivoluzione digitale che con la creazione di Internet, ha reso disponibile a chiunque l’accesso ad enormi quantità di informazioni e offerto infinite opportunità di comunicazione. Per la prima volta nella storia dei sistemi di comunicazione, da fruitori passivi di carta stampata e palinsesti imposti da un’élite intellettuale e politica, siamo diventati soggetti attivi, produttori di opinioni, di tendenze e mode, spodestando l’auctoritas dei centri riconosciuti di informazione e produzione culturale. Tutti possono immettere in rete notizie esclusive, prodotti artistici, commentari fatti di cronaca, costruire blog e raccogliere consensi più di quanto ne possa raccogliere un giornalista titolato ed esperto presente sulle pagine di un quotidiano cartaceo. Ovviamente proprio per questa smisurata partecipazione di massa nessuno può garantire sulla veridicità di ciò che consultiamo e sempre più è richiesta una specifica intelligenza, una information literacy, per selezionare, comprendere, ordinare e finalizzare le informazioni digitali verso un reale processo di conoscenza. Un grosso equivoco sembra infatti oggi radicarsi sempre più in atteggiamenti culturali e in scelte politiche che nella informatizzazione della società vedono la creazione di nuovi modelli di conoscenza. Gli studi ci dicono che si apprende da internet solo se si conosce già ciò che si sta cercando e assorbire tante informazioni senza una formazione personale, una capacità di riflessione critica può essere controproducente e vanificare le opportunità che la rete può offrire. La conoscenza di base è un processo lento e faticoso, necessita di tempi di assorbimento e lavoro mentale che mal si conciliano con la velocità e la sovra stimolazione sensoriale dei dispositivi digitali. In sostanza se entriamo ignoranti in rete ne usciremo ignoranti e confusi. Sicuramente l’aspetto socialmente più rappresentativo di questa rivoluzione è stata la creazione di piattaforme comunicative di cui Facebook è il dominatore assoluto. Nato nel 2004 come annuario online degli studenti di Harvard si è subito esteso in altre università americane dilagando poi nel mondo come il social network più utilizzato. Nel 2018 gli utenti hanno raggiunto la quota di 2,2 miliardi e in Italia ogni giorno vi accedono 31 milioni di persone. Questa meravigliosa rivoluzione della comunicazione ha però un prezzo che riguarda l’influenza che un sistema introdotto per favorire i sistemi produttivi può avere sulla nostra natura umana. L’ibridizzazione tra esperienze virtuali ed esperienze vissute nel mondo fisico ad es. sta producendo cambiamenti nel nostro modo di percepire ed elaborare la realtà, di esperire il tempo e lo spazio, di vivere la socialità e le relazioni personali. Profondi mutamenti che interessano in particolare le generazioni dei nativi digitali che sin da piccoli vengono abituati a fare esperienza del mondo attraverso lo schermo di un ipad. Gli adulti che hanno fatto fatica ad adattarsi al nuovo sistema rimangono meravigliati osservando le abilità che i bambini mostrano nell’usare questi dispositivi, in realtà dovrebbero chiedersi quale esperienza sia in atto quando con le mani poggiate sulla fredda superficie dello schermo non riescono a toccare oggetti reali ma solo figure piatte. Una cosa sembra certa, non si tratta solo di nuove abitudini mentali di cui ci si può facilmente liberare, ma di un processo che sta modificando le architetture anatomo-funzionali del nostro cervello. Le indagini nel campo delle neuroscienze lo confermano mostrando come nel cervello di chi è esposto all’uso della tecnologia digitale durante il periodo di accrescimento delle strutture nervose le cose funzionino in modo diverso ed è per questo che molti studiosi parlano di una nuova antropologia cognitiva. Un altro aspetto legato alla diffusione degli strumenti digitali come lo smartphone, oggi posseduto da molti giovanissimi, riguarda aspetti personali legati alla vita affettiva, relazionale, emotiva. Si tratta di una tecnologia che ci aiuta certamente nel mantenere attive le nostre relazioni, ma anche di aprire canali di comunicazione con persone mai conosciute e che mai incontreremo, amicizie virtuali o amori a distanza che affollano la bacheca virtuale ma non la vita reale. Tanto più la tecnologia avanza nella nostra vita privata e ci condiziona nei comportamenti e nel pensiero tanto più dovremmo aver chiaro cosa distingue una reale esperienza affettiva ed emozionale da una relazione puramente virtuale. In un arco di tempo relativamente breve stiamo assorbendo un cambiamento epocale riguardante le nostre modalità di comunicare, sia con singole persone o con la collettività, di sperimentare nuovi percorsi intellettuali e acquisire nuove conoscenze. Tutto questo grazie alla rivoluzione digitale che con la creazione di Internet, ha reso disponibile a chiunque l’accesso ad enormi quantità di informazioni e offerto infinite opportunità di comunicazione. Per la prima volta nella storia dei sistemi di comunicazione, da fruitori passivi di carta stampata e palinsesti imposti da un’élite intellettuale e politica, siamo diventati soggetti attivi, produttori di opinioni, di tendenze e mode, spodestando l’auctoritas dei centri riconosciuti di informazione e produzione culturale. Tutti possono immettere in rete notizie esclusive, prodotti artistici, commentari fatti di cronaca, costruire blog e raccogliere consensi più di quanto ne possa raccogliere un giornalista titolato ed esperto presente sulle pagine di un quotidiano cartaceo. Ovviamente proprio per questa smisurata partecipazione di massa nessuno può garantire sulla veridicità di ciò che consultiamo e sempre più è richiesta una specifica intelligenza, una information literacy, per selezionare, comprendere, ordinare e finalizzare le informazioni digitali verso un reale processo di conoscenza. Un grosso equivoco sembra infatti oggi radicarsi sempre più in atteggiamenti culturali e in scelte politiche che nella informatizzazione della società vedono la creazione di nuovi modelli di conoscenza. Gli studi ci dicono che si apprende da internet solo se si conosce già ciò che si sta cercando e assorbire tante informazioni senza una formazione personale, una capacità di riflessione critica può essere controproducente e vanificare le opportunità che la rete può offrire. La conoscenza di base è un processo lento e faticoso, necessita di tempi di assorbimento e lavoro mentale che mal si conciliano con la velocità e la sovra stimolazione sensoriale dei dispositivi digitali. In sostanza se entriamo ignoranti in rete ne usciremo ignoranti e confusi. Sicuramente l’aspetto socialmente più rappresentativo di questa rivoluzione è stata la creazione di piattaforme comunicative di cui Facebook è il dominatore assoluto. Nato nel 2004 come annuario online degli studenti di Harvard si è subito esteso in altre università americane dilagando poi nel mondo come il social network più utilizzato. Nel 2018 gli utenti hanno raggiunto la quota di 2,2 miliardi e in Italia ogni giorno vi accedono 31 milioni di persone. Questa meravigliosa rivoluzione della comunicazione ha però un prezzo che riguarda l’influenza che un sistema introdotto per favorire i sistemi produttivi può avere sulla nostra natura umana. L’ibridizzazione tra esperienze virtuali ed esperienze vissute nel mondo fisico ad es. sta producendo cambiamenti nel nostro modo di percepire ed elaborare la realtà, di esperire il tempo e lo spazio, di vivere la socialità e le relazioni personali. Profondi mutamenti che interessano in particolare le generazioni dei nativi digitali che sin da piccoli vengono abituati a fare esperienza del mondo attraverso lo schermo di un ipad. Gli adulti che hanno fatto fatica ad adattarsi al nuovo sistema rimangono meravigliati osservando le abilità che i bambini mostrano nell’usare questi dispositivi, in realtà dovrebbero chiedersi quale esperienza sia in atto quando con le mani poggiate sulla fredda superficie dello schermo non riescono a toccare oggetti reali ma solo figure piatte. Una cosa sembra certa, non si tratta solo di nuove abitudini mentali di cui ci si può facilmente liberare, ma di un processo che sta modificando le architetture anatomo-funzionali del nostro cervello. Le indagini nel campo delle neuroscienze lo confermano mostrando come nel cervello di chi è esposto all’uso della tecnologia digitale durante il periodo di accrescimento delle strutture nervose le cose funzionino in modo diverso ed è per questo che molti studiosi parlano di una nuova antropologia cognitiva. Un altro aspetto legato alla diffusione degli strumenti digitali come lo smartphone, oggi posseduto da molti giovanissimi, riguarda aspetti personali legati alla vita affettiva, relazionale, emotiva. Si tratta di una tecnologia che ci aiuta certamente nel mantenere attive le nostre relazioni, ma anche di aprire canali di comunicazione con persone mai conosciute e che mai incontreremo, amicizie virtuali o amori a distanza che affollano la bacheca virtuale ma non la vita reale. Tanto più la tecnologia avanza nella nostra vita privata e ci condiziona nei comportamenti e nel pensiero tanto più dovremmo aver chiaro cosa distingue una reale esperienza affettiva ed emozionale da una relazione puramente virtuale. Nella esperienza di rapporto umano non possiamo separare gli aspetti cognitivi dalla sensibilità del corpo, dalla dimensione affettiva e pulsionale. Scindere queste realtà può farci sprofondare nella dissociazione mentale di Theodore, il protagonista del film Lei, dove la voce umana femminile simulata di un sistema operativo è in grado di attivare fantasticherie ed emozioni in un corpo che non potrà mai realizzare un reale rapporto umano. Tornare all’umano per comprendere la natura di questo particolare rapporto con la tecnologia sembra oggi ineludibile per comprendere fenomeni che oggi ci preoccupano per la rilevanza sociale e le conseguenze psicopatologiche che possono determinarsi soprattutto in bambini e adolescenti. Dipendenza da internet, sexting, relazioni virtuali, cyberbullismo, sono alcune di queste realtà problematiche che oggi segnano la vita di molti adolescenti. Cosa fare? Imporre regole di comportamento? Adottare misure restrittive come molti genitori sono propensi a fare? Incolpare la tecnologia? Pensiamo che sia arrivato il momento di riflettere tutti insieme sui motivi umani e non tecnologici alla base di comportamenti alterati che dobbiamo pensare come spia di un profondo malessere delle realtà mentali umane coscienti e non coscienti. Su questo filo si muove il lavoro di Assunta Amendola e di Alessandra Maria Monti che insieme a chi scrive sono le autrici del libro in uscita per i tipi dell’Asino d’oro ed. Adolescenti nella rete. Quando il web diventa una trappola. * "Adolescenti nella rete. Quando il web diventa una trappola" di Assunta Amendola (psicologa dell’età evolutiva e docente di informatica e matematica nei licei), Beniamino Gigli (psicologo clinico, psicoterapeuta) e Alessandra Maria Monti (psicologa clinica e psicoterapeuta), viene presentato venerdì 18 gennaio presso il liceo Artistico "Pablo Picasso" di Anzio (ore 16.30). Insieme agli autori interviene Simona Maggiorelli, direttrice responsabile di Left.

In un arco di tempo relativamente breve stiamo assorbendo un cambiamento epocale riguardante le nostre modalità di comunicare, sia con singole persone o con la collettività, di sperimentare nuovi percorsi intellettuali e acquisire nuove conoscenze. Tutto questo grazie alla rivoluzione digitale che con la creazione di Internet, ha reso disponibile a chiunque l’accesso ad enormi quantità di informazioni e offerto infinite opportunità di comunicazione. Per la prima volta nella storia dei sistemi di comunicazione, da fruitori passivi di carta stampata e palinsesti imposti da un’élite intellettuale e politica, siamo diventati soggetti attivi, produttori di opinioni, di tendenze e mode, spodestando l’auctoritas dei centri riconosciuti di informazione e produzione culturale. Tutti possono immettere in rete notizie esclusive, prodotti artistici, commentari fatti di cronaca, costruire blog e raccogliere consensi più di quanto ne possa raccogliere un giornalista titolato ed esperto presente sulle pagine di un quotidiano cartaceo. Ovviamente proprio per questa smisurata partecipazione di massa nessuno può garantire sulla veridicità di ciò che consultiamo e sempre più è richiesta una specifica intelligenza, una information literacy, per selezionare, comprendere, ordinare e finalizzare le informazioni digitali verso un reale processo di conoscenza. Un grosso equivoco sembra infatti oggi radicarsi sempre più in atteggiamenti culturali e in scelte politiche che nella informatizzazione della società vedono la creazione di nuovi modelli di conoscenza. Gli studi ci dicono che si apprende da internet solo se si conosce già ciò che si sta cercando e assorbire tante informazioni senza una formazione personale, una capacità di riflessione critica può essere controproducente e vanificare le opportunità che la rete può offrire. La conoscenza di base è un processo lento e faticoso, necessita di tempi di assorbimento e lavoro mentale che mal si conciliano con la velocità e la sovra stimolazione sensoriale dei dispositivi digitali. In sostanza se entriamo ignoranti in rete ne usciremo ignoranti e confusi. Sicuramente l’aspetto socialmente più rappresentativo di questa rivoluzione è stata la creazione di piattaforme comunicative di cui Facebook è il dominatore assoluto. Nato nel 2004 come annuario online degli studenti di Harvard si è subito esteso in altre università americane dilagando poi nel mondo come il social network più utilizzato. Nel 2018 gli utenti hanno raggiunto la quota di 2,2 miliardi e in Italia ogni giorno vi accedono 31 milioni di persone. Questa meravigliosa rivoluzione della comunicazione ha però un prezzo che riguarda l’influenza che un sistema introdotto per favorire i sistemi produttivi può avere sulla nostra natura umana. L’ibridizzazione tra esperienze virtuali ed esperienze vissute nel mondo fisico ad es. sta producendo cambiamenti nel nostro modo di percepire ed elaborare la realtà, di esperire il tempo e lo spazio, di vivere la socialità e le relazioni personali. Profondi mutamenti che interessano in particolare le generazioni dei nativi digitali che sin da piccoli vengono abituati a fare esperienza del mondo attraverso lo schermo di un ipad. Gli adulti che hanno fatto fatica ad adattarsi al nuovo sistema rimangono meravigliati osservando le abilità che i bambini mostrano nell’usare questi dispositivi, in realtà dovrebbero chiedersi quale esperienza sia in atto quando con le mani poggiate sulla fredda superficie dello schermo non riescono a toccare oggetti reali ma solo figure piatte. Una cosa sembra certa, non si tratta solo di nuove abitudini mentali di cui ci si può facilmente liberare, ma di un processo che sta modificando le architetture anatomo-funzionali del nostro cervello. Le indagini nel campo delle neuroscienze lo confermano mostrando come nel cervello di chi è esposto all’uso della tecnologia digitale durante il periodo di accrescimento delle strutture nervose le cose funzionino in modo diverso ed è per questo che molti studiosi parlano di una nuova antropologia cognitiva. Un altro aspetto legato alla diffusione degli strumenti digitali come lo smartphone, oggi posseduto da molti giovanissimi, riguarda aspetti personali legati alla vita affettiva, relazionale, emotiva. Si tratta di una tecnologia che ci aiuta certamente nel mantenere attive le nostre relazioni, ma anche di aprire canali di comunicazione con persone mai conosciute e che mai incontreremo, amicizie virtuali o amori a distanza che affollano la bacheca virtuale ma non la vita reale. Tanto più la tecnologia avanza nella nostra vita privata e ci condiziona nei comportamenti e nel pensiero tanto più dovremmo aver chiaro cosa distingue una reale esperienza affettiva ed emozionale da una relazione puramente virtuale.

In un arco di tempo relativamente breve stiamo assorbendo un cambiamento epocale riguardante le nostre modalità di comunicare, sia con singole persone o con la collettività, di sperimentare nuovi percorsi intellettuali e acquisire nuove conoscenze. Tutto questo grazie alla rivoluzione digitale che con la creazione di Internet, ha reso disponibile a chiunque l’accesso ad enormi quantità di informazioni e offerto infinite opportunità di comunicazione. Per la prima volta nella storia dei sistemi di comunicazione, da fruitori passivi di carta stampata e palinsesti imposti da un’élite intellettuale e politica, siamo diventati soggetti attivi, produttori di opinioni, di tendenze e mode, spodestando l’auctoritas dei centri riconosciuti di informazione e produzione culturale. Tutti possono immettere in rete notizie esclusive, prodotti artistici, commentari fatti di cronaca, costruire blog e raccogliere consensi più di quanto ne possa raccogliere un giornalista titolato ed esperto presente sulle pagine di un quotidiano cartaceo. Ovviamente proprio per questa smisurata partecipazione di massa nessuno può garantire sulla veridicità di ciò che consultiamo e sempre più è richiesta una specifica intelligenza, una information literacy, per selezionare, comprendere, ordinare e finalizzare le informazioni digitali verso un reale processo di conoscenza. Un grosso equivoco sembra infatti oggi radicarsi sempre più in atteggiamenti culturali e in scelte politiche che nella informatizzazione della società vedono la creazione di nuovi modelli di conoscenza. Gli studi ci dicono che si apprende da internet solo se si conosce già ciò che si sta cercando e assorbire tante informazioni senza una formazione personale, una capacità di riflessione critica può essere controproducente e vanificare le opportunità che la rete può offrire. La conoscenza di base è un processo lento e faticoso, necessita di tempi di assorbimento e lavoro mentale che mal si conciliano con la velocità e la sovra stimolazione sensoriale dei dispositivi digitali. In sostanza se entriamo ignoranti in rete ne usciremo ignoranti e confusi. Sicuramente l’aspetto socialmente più rappresentativo di questa rivoluzione è stata la creazione di piattaforme comunicative di cui Facebook è il dominatore assoluto. Nato nel 2004 come annuario online degli studenti di Harvard si è subito esteso in altre università americane dilagando poi nel mondo come il social network più utilizzato. Nel 2018 gli utenti hanno raggiunto la quota di 2,2 miliardi e in Italia ogni giorno vi accedono 31 milioni di persone. Questa meravigliosa rivoluzione della comunicazione ha però un prezzo che riguarda l’influenza che un sistema introdotto per favorire i sistemi produttivi può avere sulla nostra natura umana. L’ibridizzazione tra esperienze virtuali ed esperienze vissute nel mondo fisico ad es. sta producendo cambiamenti nel nostro modo di percepire ed elaborare la realtà, di esperire il tempo e lo spazio, di vivere la socialità e le relazioni personali. Profondi mutamenti che interessano in particolare le generazioni dei nativi digitali che sin da piccoli vengono abituati a fare esperienza del mondo attraverso lo schermo di un ipad. Gli adulti che hanno fatto fatica ad adattarsi al nuovo sistema rimangono meravigliati osservando le abilità che i bambini mostrano nell’usare questi dispositivi, in realtà dovrebbero chiedersi quale esperienza sia in atto quando con le mani poggiate sulla fredda superficie dello schermo non riescono a toccare oggetti reali ma solo figure piatte. Una cosa sembra certa, non si tratta solo di nuove abitudini mentali di cui ci si può facilmente liberare, ma di un processo che sta modificando le architetture anatomo-funzionali del nostro cervello. Le indagini nel campo delle neuroscienze lo confermano mostrando come nel cervello di chi è esposto all’uso della tecnologia digitale durante il periodo di accrescimento delle strutture nervose le cose funzionino in modo diverso ed è per questo che molti studiosi parlano di una nuova antropologia cognitiva. Un altro aspetto legato alla diffusione degli strumenti digitali come lo smartphone, oggi posseduto da molti giovanissimi, riguarda aspetti personali legati alla vita affettiva, relazionale, emotiva. Si tratta di una tecnologia che ci aiuta certamente nel mantenere attive le nostre relazioni, ma anche di aprire canali di comunicazione con persone mai conosciute e che mai incontreremo, amicizie virtuali o amori a distanza che affollano la bacheca virtuale ma non la vita reale. Tanto più la tecnologia avanza nella nostra vita privata e ci condiziona nei comportamenti e nel pensiero tanto più dovremmo aver chiaro cosa distingue una reale esperienza affettiva ed emozionale da una relazione puramente virtuale.

Nella esperienza di rapporto umano non possiamo separare gli aspetti cognitivi dalla sensibilità del corpo, dalla dimensione affettiva e pulsionale. Scindere queste realtà può farci sprofondare nella dissociazione mentale di Theodore, il protagonista del film Lei, dove la voce umana femminile simulata di un sistema operativo è in grado di attivare fantasticherie ed emozioni in un corpo che non potrà mai realizzare un reale rapporto umano. Tornare all’umano per comprendere la natura di questo particolare rapporto con la tecnologia sembra oggi ineludibile per comprendere fenomeni che oggi ci preoccupano per la rilevanza sociale e le conseguenze psicopatologiche che possono determinarsi soprattutto in bambini e adolescenti. Dipendenza da internet, sexting, relazioni virtuali, cyberbullismo, sono alcune di queste realtà problematiche che oggi segnano la vita di molti adolescenti. Cosa fare? Imporre regole di comportamento? Adottare misure restrittive come molti genitori sono propensi a fare? Incolpare la tecnologia? Pensiamo che sia arrivato il momento di riflettere tutti insieme sui motivi umani e non tecnologici alla base di comportamenti alterati che dobbiamo pensare come spia di un profondo malessere delle realtà mentali umane coscienti e non coscienti. Su questo filo si muove il lavoro di Assunta Amendola e di Alessandra Maria Monti che insieme a chi scrive sono le autrici del libro in uscita per i tipi dell’Asino d’oro ed. Adolescenti nella rete. Quando il web diventa una trappola.

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“Adolescenti nella rete. Quando il web diventa una trappola” di Assunta Amendola (psicologa dell’età evolutiva e docente di informatica e matematica nei licei), Beniamino Gigli (psicologo clinico, psicoterapeuta) e Alessandra Maria Monti (psicologa clinica e psicoterapeuta), viene presentato venerdì 18 gennaio presso il liceo Artistico “Pablo Picasso” di Anzio (ore 16.30). Insieme agli autori interviene Simona Maggiorelli, direttrice responsabile di Left.